Le motivazioni che da tempo attendevamo sono finalmente arrivate ma, come previsto, lasciano comunque la discrezionalità della valutazione delle condizioni di “coltivazione personale” agli inquirenti.
Quello che era in discussione, e che la sentenza avrebbe dovuto chiarire, era la punibilità della coltivazione personale di cannabis.
Secondo i giudici di piazza Cavour il reato di coltivazione di stupefacenti dunque sussiste perché – afferma la sentenza – “è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”.
Tuttavia “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
Così in questi casi la condotta non rileva più sotto il profilo penale, ma continua ad avere una valenza di violazione amministrativa: infatti nel caso in cui “la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, le sanzioni amministrative potranno essere applicate al soggetto agente considerato non come coltivatore, ma come detentore di sostanza destinata a uso personale”.
In pratica, per capirci al meglio, in caso di coltivazione che, dopo procedimento penale, denuncia, sequestro e processo, venisse determinata essere ad uso personale, l’imputato verrebbe assolto penalmente ma sanzionato con una multa pecuniaria (e sanzioni accessorie come ritiro patente/passaporto/SERT).
Ma l’indirizzo fornito dalla Corte di Cassazione resta comunque chiaro, ossia non punire la coltivazione destinata ad uso personale, pur volendo punire comunque la detenzione di stupefacente.
La sentenza infatti precisa che “la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo”.
Serve ora dunque una reale svolta legislativa che certifichi questo passaggio formale e giuridico, per dare vera tutela al coltivatore ad uso personale e per poter così porre una netta e legale distinzione tra la produzione destinata al mercato illecito narcomafioso e la produzione destinata al proprio personale consumo.
Il Manifesto Collettivo è depositato al Senato della Repubblica, pronto per una discussione parlamentare che diviene a questo punto necessaria.
Di seguito potete scaricare il testo completo della sentenza della corte di cassazione, e le motivazioni, così da leggerle a fondo, studiarle ed averle sempre pronte per una eventuale difesa penale.
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