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Assolti tre studenti universitari trovati con una serra in casa. L’avvocato Morassutto: “Condanna sarebbe stata iniqua”

L'avvocato Luca Morassutto

Coltivare 7 piantine di cannabis in casa ai soli fini personali può non essere considerabile reato.

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Lo ha stabilito il tribunale di Ferrara con una sentenza di assoluzione, pronunciata martedì dal giudice Franco Attinà nei confronti di tre giovani studenti universitari, che è destinata a fare storia.

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Tutto inizia nella primavera/estate del 2014, con un pacco che dalla Spagna prende il volo verso l’Italia, fa tappa all’hub di Malpensa e giunge a destinazione a Ferrara, nella casa di tre giovanissimi studenti di Ingegneria. Dentro ci sono 100 grammi di cannabis e 98 di hashish. La Guardia di Finanza di Ferrara, allertata dal nucleo milanese, lascia che il pacco arrivi a destinazione, monitorando la consegna e poi interviene.

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Nella casa dei tre studenti le Fiamme Gialle – oltre al contenuto del pacco –  trovano qualcosa di più: una piccola serra con 7 piantine di cannabis. Scatta la denuncia – e poi si arriva a processo – per la coltivazione non autorizzata e per il possesso di stupefacenti, anche ai fini di spaccio ma i giovani fin da subito mettono in chiaro che tutto era per il loro – elevato – consumo personale iniziato fin da giovane età: 5 canne al giorno a testa, che nel weekend potevano anche raddoppiare, per circa 25 grammi di cannabis ciascuno durante la settimana.

Una difesa non facile quella che gli avvocati hanno dovuto architettare per i tre studenti, ma che in concreto si è rivelata efficace e vittoriosa.

“A settembre, quando abbiamo sentito i testimoni – spiega l’avvocato Luca Morassutto, legale di due dei tre giovani (l’altro era difeso dall’avvocato Maura Tomasi) -, hanno messo in luce che si trattava di una coltivazione ma che non erano emersi elementi per lo spaccio: non c’erano dosi, non c’erano contanti, non c’erano nominativi con ordini, nessun conto corrente con cifre fuori dalla norma ma, anzi, condizioni di vita tipiche dello studente, nessuna rete criminale, nessuna intercettazione telefonica”.

Insomma, c’è il possesso, c’è la coltivazione, ma mancano le prove per lo spaccio o comunque la cessione a terzi. È in questo frangente che Morassutto e Toasi chiedono la sospensione del processo e il rinvio degli atti alla Corte costituzionale. Il motivo è che alla Corte d’appello di Brescia c’è in ballo un caso simile, rinviato ai giudici costituzionali perché la norma che punisce la coltivazione (l’articolo 73 del dpr 309/1990) creerebbe una disparità di trattamento per chi autoproduce solo per se (punito penalmente) e chi acquista al mercato nero (punito con una ‘mera’ sanzione amministrativa) (situazione poi decaduta al giudizio della corte costituzionale del 9 marzo 2016).

Il giudice Attinà però non concede il rinvio, ma dà l’ok per la sospensione in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, che arriva, dichiarando purtroppo non fondata la questione. In più c’è una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, datata 2008, che coltivare è reato per il semplice fatto che aumenta disponibilità di droga sul mercato.

Sembra una condanna già scritta, ma così non è perché i giudici costituzionali – in sostanza – dicono semplicemente che la questione sia materia la cui regolamentazione riguarda il legislatore, nel frattempo si procede come prima: si applicano le norme ai casi concreti.

Mentre la pronuncia delle Sezioni Unite non ha trovato largo seguito nella giurisprudenza, neppure a Ferrara, dove il tribunale già in passato aveva definito quella sentenza “non aderente alla realtà che nei palazzi di giustizia si sperimenta”.

“Siamo in un caso in cui i clienti sin da subito hanno dichiarato che avevano coltivato per tre motivi: abbattere i costi, non esporsi ai rischi che comporta comprare dagli spacciatori, ed evitare di comprare roba non buona”, spiega ancora Morassutto.

Si continuano ad applicare le norme ai casi concreti, dicevamo. “Qui sta il punto”, osserva l’avvocato: “Non è sufficiente una condotta astrattamente idonea a ledere il bene giuridico, bisogna vedere se il bene viene leso in concreto. Se no ci troveremo a punire un comportamento a titolo di responsabilità oggettiva”. Un ragionamento che deve aver convinto il giudice che, infatti, ha assolto i tre studenti con formula piena, “perché il fatto non costituisce reato”.

Ma qual è il discrimine in questo caso?

“Il principio di offensività – continua Morassutto – stabilisce che deve essere leso il bene giuridico tutelato dalla norma, che in questo caso non è la salute individuale ma quella pubblica: il diritto penale non ha il compito di moralizzare ma di porsi a presidio di beni giuridici che la collettività percepisce come degni di essere tutelati. Se quel bene non viene aggredito perché coltivo ma non spaccio è evidente che la condanna sarebbe stata iniqua”.

E la condanna, infatti, non c’è stata, nonostante l’accusa avesse chiesto 8 mesi di reclusione (derubricando il reato e diminuendo la pena richiesta riconoscendo l’uso personale). “Laddove fossero stati condannati – aggiunge l’avvocato Tomasi – si sarebbe trattato di responsabilità oggettiva e non avrebbe fatto onore alla nostra giustizia”.

Sorte simile anche per quanto riguarda il pacco di stupefacenti spedito dalla Spagna: “Detenere ai fini di spaccio implica che l’accusa deve dimostrare tali fini. L’esame dei testi ha dimostrato l’esatto opposto – spiega Morassutto -. Il mero quantitativo, per consolidata giurisprudenza della Cassazione, non basta per condannare: bisogna dimostrare altre cose: frazionamento, le dosi, la rete criminale e altro”. In questo caso anche la procura sembra essere stata d’accordo, avendo chiesto l’assoluzione per quel capo d’imputazione. Forse anche perché il ragazzo che aveva comprato il pacco è riuscito comunque a dimostrare il perché: avrebbe lasciato l’appartamento a maggio 2014 per partire in Erasumus a settembre. Nell’intervallo di tempo sarebbe tornato a casa dai genitori, 40 km fuori Ferrara dove, con tutta probabilità, non poteva coltivare e farsi 80 km di viaggio per comprarsi la cannabis non era proprio il massimo. Il pacco, in sostanza – e anche i calcoli sembrano confermare – era la scorta per affrontare quel periodo.

 

 

FONTE: estense.com

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