FONTE: DikeSalute.com , Articolo di Simone Fagherazzi
FREEWEED, IL DOLORE, LA CANNABIS TERAPEUTICA E LA CENSURA ITALIANA.
Da lontano guardo sempre alla situazione italiana in merito alla Cannabis Terapeutica e, talvolta, mi trovo ad avere relazioni (sempre solitamente cordiali) con diverse persone che sono intimamente implicate in questa “materia”.
Mi è capitato di recente di leggere un’accesa discussione iniziata da Lisa e Stefano di FreeWeed nel gruppo “dolore e Cannabis Terapeutica”. Il post attualmente è stato cancellato, avevo però avuto modo di leggere (velocemente) tutti i 600 e passa commenti che si erano accodati al post.
Ho quindi voluto scrivere questo articolo per dare la mia semplice opinione su questa situazione che sta assumendo tratti sempre più confusi anche grazie all’interessi personali coinvolti. Questi “interessi” possono essere molteplici, dal denaro alla salute, al benessere, lo spettro è molto ampio. Perseguire determinati “interessi” è una pratica legittima. È mio personale parere che questa pratica, però, debba venire solo come “evoluzione” di quello che è il rispetto dei diritti universali di ogni individuo.
Oggetto della controversia è stato il “sostenere l’abissale differenza tra Cannabis a scopo Ludico e Scopo terapeutico”. La prima tipologia infatti è considerata “malvagia” in quanto oltre i confini della legge. La seconda, invece, è considerata estremamente benefica in quanto all’interno di quei confini del “legalmente possibile”.
Cosa significa tutto ciò? Nulla, viene solo creata una distinzione. Sani e Malati. Una malattia, riconosciuta e certificata da un medico (che seppur “studiato” rimane sempre un semplice uomo tanto quanto il paziente) garantisce la legittimità di utilizzo, solo ed esclusivamente per determinate condizioni, di una sostanza comunemente considerata “droga”.
Dividi et impera, era il motto dei romani. Questo approccio, da militare, si è trasferito sul piano del concetto ideologico conseguente all’evoluzione dell’uomo.
La divisione e il dubbio, conducono a paura e, nella paura, l’uomo, come tutti gli altri animali del creato adotta reazioni stereotipate e molto semplici. In medicina questa viene definita come reazione attacco/fuga.
Con l’espressione “reazione di attacco o fuga” ci si riferisce alle risposte fisiologiche che
avvengono nel nostro corpo e che ci preparano agli sforzi necessari per combattere o scappare quando ci troviamo di fronte ad un pericolo. L’ansia deriva proprio da questo meccanismo, che è presente in tutti i mammiferi e che predispone l’animale o l’essere umano a reagire al pericolo attraverso la rapidissima attivazione di tutte le funzioni neurovegetative necessarie per una fuga o un attacco.
fonte: Blog Dr.ssa Marinoni
Solitamente non pensiamo a queste reazioni in termini ordinari, non consideriamo che queste reazioni avvengono tutti i giorni e influenzano inconsapevolmente le nostre decisioni.
In natura lo spettro delle caratteristiche personali è ampio e ricopre tutti i gradi di quella che possiamo indicare generalmente come “PAURA”. La mia pratica clinica mi ha insegnato che ci sono, in fondo, due tipi di pazienti (e quindi di “esseri umani”). Quelli che cercano la “causa” e quelli che “vogliono una soluzione”.
Per quanto posso dire, personalmente, ho notato che gli appartenenti al secondo gruppo sono le persone che presentano un maggiore grado di “paura di impreparazione” rispetto alle evenienze delle vita. Sono persone che preferiscono la sicurezza assoluta di un percorso già “accertato da altri uomini” piuttosto che rendersi responsabili di una propria “valutazione critica strutturata” basata su conoscenze reperibili ormai ovunque.
È in questo mio personale quadro mentale che inserisco il dibattito cannabico italiano. È chiaro a tutti infatti che l’affermazione “drogarsi fa male” sia condivisibile. Il meccanismo ansia, attacco/fuga, però entra in gioco quando ci si chiede, “cosa significa drogarsi?” qui la risposta delle persone è molto differente.
I parametri che cambiano sono molteplici quello su cui, però, ci si scontra più ardentemente è “la legalità”.
Qui le persone si dividono in due gruppi:
- chi considera la situazione dal proprio punto di vista
- chi cosidera la situazione dal punto di vista generale per quella che è
cosa significa questo?
Teniamo buoni i numeri di riferimento delle due situazioni precedenti
- Perseguire il “proprio interesse” significa affrontare un argomento in maniera differentemente critica. Il punto di forza delle argomentazioni di questa parte di popolazione è che fino a quando “qualcun altro”, in base alle regole e alle normative vigenti, non decreterà la liceità di una condotta, questa debba ritenersi sbagliata. Ciò toglie dagli eventuali “problemi” derivanti da un pensiero personale e dissonante con quello reputato “socialmente corretto”. “Si fa quello che si può e si deve essere contenti di esserlo riusciti a fare” è spesso il motto di questa categoria di persone.
- Osservare la situazione per quella che è, invece, porta a voler mettere in discussione, con argomentazioni più valide possibili, il giudizio in se di una condotta, andando alla radice del perché quella condotta è errata. Questa via porta molto più facilmente alla frustrazione perché, ricercando le motivazioni vere delle situazioni siamo costretti a dipingere un quadro molto più grande di quello personale, rendendoci spesso conto che, ciò che ci circonda, non è sempre così “bello” come solitamente tendiamo a credere. La frustrazione deriva dalla consapevolezza dell’impotenza di cambiare le cose. “non siamo drogati/sballati”, “voi non volete capire perché siete ottusi” sono spesso i motti di questa categoria di persone.
Personalmente mi trovo più concorde con il modus pensandi del secondo gruppo.
Riconosco però, che, a volte, i toni di discussione siano completamente errati e fuorvianti. Per tale motivo ritengo che l’unico metro di paragone siano i fatti concreti, a me capitati o di cui sono a conoscenza perché pubblici.
Sto vedendo, in italia, crearsi una netta divisione chiaramente distinguibile in base ad un parametro: il guadagno. Come dicevo all’inizio, principale tra gli “interessi” in gioco. Il guadagno può essere inteso sia come economico che genericamente personale.
Attualmente, c’è ancora un profondo stereotipo sociale del “drogato”, ideologia, alle conoscenze attuali, molto arretrata. Vincere questo preconcetto ed ammettere di utilizzare questa pianta (a prescindere dallo scopo) è, però, ancora molto, molto complesso. Le cose si semplificano, invece, se la propria “diagnosi” corrisponde con una tra quelle listate dalle “persone buone” come valide ed accettabili.
Tale semplificazione, psicologicamente, viene quindi vista come una comodissima via di fuga e diventa molto semplice allinearsi con la corrente di pensiero maggioritaria per essere “più protetti” qualora dovessero insorgere dei problemi con le “buone persone” di cui sopra.
Per comprenderci mi immedesimo iperbolicamente nella parte,
“a me non interessa tutta questa cosa della Cannabis so solo che se la prendo sto bene e siccome c’è qualcun altro di competente che DEVE fare tutto per me io mi limito solo a prendere quello che mi viene dato e lotto perché ne venga dato sempre di più a me e a sempre un numero maggiore di persone, basta che io non venga escluso. Siccome poi io non sono capace di fare niente e non so niente e queste cose sono delicate, le devo PER FORZA lasciare alle persone studiate”.
Qui entra in gioco il motivo per cui ho lasciato l’italia. Un gioco politicante, basato sul profitto di pochi e a discapito di molti. Non occorre un grande studio scientifico per osservare questa realtà, ciò che serve è la logica e l’onestà intellettuale. La bilancia rischi/benefici per quanto riguarda la pianta di Cannabis in generale pende lapalissianamente a favore dei secondi.
Scommettere sulle potenzialità della Cannabis è, ad oggi, una win win strategy.
I responsabili della Cannabis in italia puntano di più a “proteggere” il loro operato (anche se di qualità estremamente scadente), ponendo come condizione la parola “farmaceutico”. Questo aggettivo rimanda immediatamente la mia mente all’altro progetto che sto portando avanti, quello per l’accessibilità ai farmaci TRADIZIONALI anti Epatite-C.
La similitudine è tra “farmaceutico” e “sperimentale”. Queste due parole, infatti, vengono utilizzate alla stessa maniera. Un gruppo di persone responsabili della vendita di una determinata sostanza, proteggono i loro “diritti di scoperta e manifattura” in modo da tenere il prezzo il più alto possibile e per il più a lungo possibile al fine di trarne maggiori profitti secondo la logica di mercato. Per tale ragione, ad esempio, il farmaco in oggetto per l’Epatite C, in italia, costa ancora cifre esorbitanti che superano i 10-20 mila euro.
In Asia, dove vivo da un anno circa, è già da molto tempo che i governi hanno portato avanti una politica di “uguaglianza” in questa direzione. È stato rivendicato il diritto di “proprietà intellettuale” e, questi farmaci, sono venduti ad un prezzo 10-20 volte minore (anche di più, il dato è molto variabile).
Un analogo discorso può essere fatto per la Cannabis, quella “farmaceutica” considerabile come il farmaco “di marca” mentre quella “altra” come il generico.
Riprendendo i due gruppi iniziali di persone che ho descritto vediamo come il primo gruppo sia tendente a volere il farmaco “di marca” perché comunemente non “si fida” del farmaco generico imputandogli, a priori, una “non efficacia”. Il secondo gruppo di persone, invece, andando alla causa, considera esattamente uguali il generico e il farmaco di marca in quanto contengono lo stesso principio attivo e lo stesso dosaggio dello stesso.
La Cannabis considerata “ludica” è esattamente la stessa pianta che viene considerata come “medica”, gli effetti sull’organismo sono gli stessi per chiunque, quelli psiclogici, invece, dipendono dal gruppo di appartenenza. I primi sono più portati ad avere esperienze psicologicamente negative e che conducono alla PAURA di questa sostanza. La causa di questa “negatività” potrebbe ricercarsi nel fatto che l’utilizzo della pianta di Cannabis, psicologicamente, mette di fronte alle nostre debolezze e questo, per alcuni, è intollerabile.
Questione sicurezza
lo spavento più grande da parte dei pazienti li conduce a focalizzare tutta la loro attenzione sulla sicurezza del prodotto piuttosto che sulla sua qualità. La paranoia droga correlata porta alla necessità burocratica di dover trattare le infiorescenze con raggi gamma. Questo era un cavallo di battaglia della “crociata terapeutica”. Queste convinzioni, però, hanno cominciato a vacillare quandoil responsabile scientifico di Bedrocan A. Hazekamp ha affermato pubblicamente che la gammatura per i prodotti Bedrocan ® è un processo inutile in quanto le piante vengono già di per sé cresciute con strette regole di pulizia. Con molta meno pubblicità, invece, lo Stato Italiano ha bypassato questa procedura fornendo le stesse motivazioni del Dr. Hazekamp ma, di fatto, disinteressandosi di questa cautela ulteriore sin dall’inizio.
Questione continuità terapeutica
altro cavallo di battaglia della “crociata terapeutica”. Su questo argomento viene creata un’enorme confusione che lascia il paziente disorientato nella maggior parte dei casi.
La percezione comune è che ci sia una Cannabis che faccia bene ed una che faccia male. Il beneficio passa attraverso lo stretto controllo del range dei principi attivi. Questa caratteristica conferirebbe a quella determinata pianta “caratteristiche affidabili”. Il processo attraverso cui viene prodotta è percepito come estremamente complesso e decisamente dispendioso. Ma la realtà è davvero così?
Scoprirlo non è molto complesso, chiunque abbia, per un motivo o un altro esperienza di coltivazione, non solo di Cannabis, ma in generale, è in grado di apprendere un procedimento semplice e corretto per facilitare la Natura nella sua espressione. La pianta di Cannabis, infatti cresce molto facilmente e, prendersene cura, non è per nulla complesso.
Facilitare la natura significa accettare un range di variabilità più alto ed esserne consapevoli. Quello che viene fatto passare molto in secondo piano, infatti, è che anche all’interno delle produzioni statali o ipercontrollate è presente una variabilità del prodotto, di questa variabilità, però, si è consapevoli e, dichiarandola, si rientra nella legalità.
Accettare una variabilità più alta significa accettare di avere una curva di apprendimento. Tramite l’esperienza, infatti, si riuscirebbe in poco tempo, ad acquisire quella capacità di discriminare la qualità e quantità di Cannabis più adatta alle proprie personali condizioni, a prescindere che queste siano state certificate o meno da un medico.
L’accesso ad una pianta benefica, infatti, dovrebbe essere garantito a tutti e non limitato ad una classe di persone che “può”.
Se l’esperienza non fosse sufficiente, allora, si potrebbe ricorrere a dei test estremamente semplici, riproducibili da chiunque abbia la voglia di imparare una cosa nuova, ed eseguibili in completa autonomia, che riuscirebbero a fornire un dato sufficientemente accurato per quanto riguarda le percentuali di Cannabinoidi principali (THC e CBD). Tale riscontro potrebbe guidare, entro limiti di sicurezza ampiamente ragionevoli, l’agognata Continuità Terapeutica. Basterebbe adattare i dosaggi, autonomamente o con il medico di base, secondo nuova percentuale di cannabinoidi principali.
Esperienze personali
Nelle parole dei principali sostenitori della Cannabis Terapeutica al momento: Elisabetta Bivati, Giuseppe Nicosia, Giampaolo Grassi, Francesco Crestani etc etc… ho riscontrato molte dissonanze. Non voglio accusare o giudicare nessuno, sono distante e non me ne viene in tasca niente, quello che vorrei però sottolineare sono le mie esperienze personali che mi hanno profondamente amareggiato.
Nel panorama Italiano, la questione Cannabis Terapeutica, sta aprendo un mercato di affari enorme, le cifre potenziali sono da capogiro, questa illusoria caverna del tesoro si basa sull’impianto legislativo attuale che mantiene la pianta di Cannabis “fuorilegge”.
La montagna d’oro è molto grande e, tutti, tendiamo a volerne trarre un pezzettino per noi. “s’ha da campà” non ce lo scordiamo. Qui, però, entra in gioco il nostro ego. L’illusione. Devo seguire determinate regole per avere un determinato risultato se no sono una “cattiva persona”. Questo porta inconsapevolmente a chiudere le porte per paura, ci si mette in trincea dietro le proprie insicurezze e “che importa se quello che posso fare è poco, intanto lo faccio.” Viene perso di vista il quadro generale e si lotta per le proprie piccole conquiste quotidiane.
Ma cosa significa davvero rispettare l’altro e lottare per un fine comune? A mio avviso significa saper tralasciare i propri interessi personali per quest’ideale.
Da quando sono partito, ho imparato ad essere sempre più coerente nella correlazione tra mio personale pensiero e parola. Quello che ho notato è che, nonostante la validità logica delle mie argomentazioni(cerco sempre di mettercene più possibile), i comportamenti delle persone nei miei confronti sono molto influenzati (negativamente) dal mio concetto di “Cannabis” come semplice pianta della natura. Portando avanti le mie argomentazioni con rispetto ed educazione, però, mi sono trovato di fronte ad alcune situazioni in prima persona.
Al grido di “aiutiamoci tutti” ero stato coinvolto, all’inizio, nel progetto Medicomm, l’idea di far avere ai miei pazienti ricette a 15 euro mi esaltava, il sistema che mi avevano spiegato era entusiasmante.
“Mandaci i pazienti, mi dissero, ci stiamo aiutando tutti, poi il corrispettivo delle ricette te lo faccio avere in qualche modo perché sono, in fondo tuoi pazienti e ci vogliamo aiutare”
Non stavo nella pelle, ho riferito ai colleghi circa una decina di pazienti. Non smettevo nel frattempo di manifestare le mie idee nei confronti di chi sta utilizzando questo argomento per trarre beneficio personale. Al momento avevo posto molta fede in questo progetto, ero in un momento molto difficile economicamente e il pensiero di qualche euro in più, anche se non molto, mi alleggeriva il carico psicologico da sopportare.
La collaborazione è andata scemando nel nulla dopo un mio articolo sull’Associazione LaPiantiamo (con cui Medicomm collabora). Venivo accusato di essere “divisivo” di non perseguire il fine comune. L’onta che avevo recato era tale che, ad oggi, non solo non ho ricevuto nessun tipo di contributo economico ma ho anche visto che il progetto va a gonfie vele e che la collaborazione con il sottoscritto non è più stata reputata proficua.
Purtroppo questa non è la sola promessa che non è stata mantenuta. Pubblicamente, infatti, mi era stato “promesso un aiuto economico per lo zaino medico” perché “anche se abbiamo idee diverse, lottiamo tutti per lo stesso fine”. Nemmeno quel contributo è mai arrivato. Questi i dati.
Dal punto di vista professionale la situazione non è meno preoccupante, cercare di difendere un semplice diritto basilare di ognuno, quello alla cura, i cui medici dovrebbero essere custodi, mi ha condotto a perdere la stima di molti dei colleghi e mi conduce ad un’emarginazione ideologica.
Le mie idee vengono reputate “antiscientifiche” nonostante siano casi clinici o ragionamenti clinici basati sulla normale fisiopatologia umana.
Il gruppo dell’”associazione Cannabis Terapeutica” ha deciso di non pubblicare a prescindere i miei post. L’ultimo che ha subito censura era un articolo pubblicato sul giornale Dolcevita, la cui professionalità credo sia riconosciuta da tutti. (ARTICOLO: Cannabis, utilizzo medico per ricreare se stessi)
Le uniche spiegazioni che mi sono state fornite è che i miei post non sono di interesse scientifico. Regolarmente, sul gruppo, però, vengono postati articoli o post anche di stampo non strettamente scientifico il che mi fa presupporre che la mia sia una censura ad hoc.
Non ho niente da dire su questi comportamenti, nessuno è in obbligo verso nessuno e siamo tutti esseri liberi ed indipendenti.
Io ho trovato una soluzione per il mio sostentamento in un’altra maniera (Hara Hara Mahadeva) e fortunatamente ho diversi amici in giro per il mondo che non mi fanno sentire un escluso se i miei post non vengono pubblicati su ACT. Sono abbastanza in pace con tutto il mondo e mi limito ad osservare i comportamenti delle persone. Come in un film.
Ho compreso, alla fine, la frustrazione dei ragazzi di Freeweed, perché in fondo è anche la mia. Per queste persone, il punto di vista del diritto, qui, ora, subito e adesso è un utopia. Non importa la spiegazione e la forza d’animo che ci metti nel darla. Difficilmente comprenderanno. Perché è una soluzione che non prendono nemmeno in considerazione, la classificano direttamente come impossibile.
Perché avviene questo a mio avviso? Per diverse ragioni, c’è chi ha paura di “tornare a stare peggio”, c’è chi ha “paura di non riuscire ad avere la pensione”, c’è chi “non vuole perdere gli sforzi di una vita”, c’è chi “non vuole essere considerato un drogato”. Ognuno può trovare la motivazione dentro di se.
Prendere in considerazione un utopia è logicamente complesso.
La complessità, però, è la radice dell’impegno a migliorare.
quello che spesso è difficile è la costanza di volontà ferrea che questo impegno comporta.
Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo.
Jay shamboo
Hara Hara Mahadeva.
Simone
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