Quanto “vale” davvero la Cannabis?

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L’unico prodotto agricolo valutato in grammi oltre la cannabis è lo zafferano (e il lattice essiccato delle corolle incise di Papaverum Somniferum)

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Fonte: Million Marijuana March 16/07/2016

Ogni bulbo di zafferano produce uno o al massimo due fiori e si raccoglie solo il pistillo che pesa pochissimi milligrammi.

Il valore economico di una merce è determinato dalle leggi di mercato ed è il risultato del rapporto tra domanda e offerta: il prezzo sale in maniera inversamente proporzionale in relazione a quanto sia maggiore la sua richiesta rispetto ad una minore offerta. Il valore dell’oro è determinato dalla sua rarità, come alto è il costo del tartufo per via della sua diffusione ridotta in natura, solo in determinati periodi di raccolta e in pochi, limitati luoghi.

Il prezzo della cannabis invece è determinato dal proibizionismo che rende la sua offerta (disponibilità) inferiore alla domanda. 

Altrimenti, calcolando quanti quintali di infiorescenze femminili si potrebbero ottenere da un campo di cannabis, se non fosse illegale la sua coltivazione, il suo valore di mercato sarebbe irrisorio, inferiore a quello di altri vegetali che rendono produzioni di raccolto inferiore e per i quali sarebbe quindi giustificabile un prezzo maggiore rispetto alla cannabis.

Detto ciò, non si comprende quindi come abbia potuto il Dott, Leopoldo Grosso del Gruppo Abele, durante la sua recente audizione alla Camera (vedi resoconto stenografico del 15/06/2016, a pag. 16: http://goo.gl/XIwNrg), sostenere che per intercettare il consumo, ora in mano al mercato illegale, occorrerebbe contenere il prezzo della cannabis commercializzata dal futuro mercato legale monopolistico con prezzi convenienti e concorrenziali alla offerta illegale, da lui quantificati con prezzi non superiori ai 10 / 12 EURO AL GRAMMO.

A parte che le narcomafie potrebbero distribuirla alla metà e per loro resterebbe ancora molto conveniente, la domanda che ci poniamo è se questo presunto valore commerciale sarebbe dovuto alla difficoltà e ai costi di produzione, in relazione alle quantità ottenibili, oppure, semplicemente, ad un effetto della speculazione MONOPOLISTICA che, impedendo la libera produzione (come ora in regime di proibizionismo), può autonomamente stabilire il valore della merce cannabis, essendone la unica fonte legale?

Poi cosa si intende per “cannabis”? Di quali varietà e/o genetiche, con quale titolazione in THC e rapporto sinergico tra vari principi attivi? Coltivata come e dove? Se in esterno, in quali ambienti e con quale clima? A che quota sul livello del mare? In quali terreni, con quali escursioni termiche e con quali caratteristiche pedoclimatiche e geostrutturali del terreno? Se invece coltivata in indoor o serra, come? In terre, substrati, oppure in idroponica? Ma soprattutto e in ogni caso, secondo i dettami della agricoltura biologica, biodinamica oppure agricoltura convenzionale? E poi, essiccata come e con quale metodo e tempistica? Conciata e con quale metodologia? Utilizzando la umidità osmotica di altri vegetali, come le foglie di mais in ambiente a ventilazione controllata o sfruttando l’autotrasformazione enzimatica della linfa in zuccheri, controllando umidità e ventilazione?

Anche per il vino esistono vari vitigni e, perfino con lo stesso vitigno, è noto come si possano ottenere vini molto diversi a secondo della terra, del luogo e metodo di coltivazione, oltre che del procedimento di vinificazione. Il Tavernello è vino ottenuto da uva fermentata come è vino il Brunello di Montalcino, ma hanno qualità, caratteristiche, gusto e prezzi molto diversi. Non sarebbero quindi certamente la particolare qualità o una raffinata essiccaggione a determinare il valore economico della cannabis di stato, della quale il dottor Leopoldo Grosso, come nessun altro del resto, non ha neanche accennato a descriverne i parametri.

A quanto pare, ancora una volta a decidere il prezzo del valore commerciale della “merce” cannabis sarebbe la sua condizione di produzione e distribuzione tipicamente MONOPOLISTICA, ancora anche dopo, proprio come ora che siamo ufficialmente ancora in regime di proibizionismo. La unica differenza è che dopo il monopolio sarebbe duplice e mentre quello gestito dallo stato la commercializzerebbe a euro 10/12 al grammo, molto probabilmente le mafie la proporrebbero a euro 5/6 al grammo, mantenendo ancora la loro posizione egemone, con la aggravante di classe, le fasce socialmente e economicamente più deboli sarebbero costrette a rivolgersi ancora a loro, come ora fanno la spesa alimentare al discount.

Tutto questo si potrebbe facilmente risolvere se lo stato la commercializzasse ad un prezzo di centesimi e non euro al grammo e chiunque potesse decidere se comprare da loro o autoprodurre legalmente un numero limitato e certo di piante per il proprio personale fabbisogno. Anche a solo 50 centesimi al grammo sarebbero 500 euro al Kg, il tartufo che è molto più raro e non se ne raccolgono quintali da un ettaro, ha un valore di mercato che varia dalle 200 Euro/KG per il più comune “scorzone” estivo ( Tuberum Aestivum ), fino ai 2500 Euro/kg per le varietà più pregiate, a parte tagli di tartufi di dimensioni grandi in un unico e raro esemplare battuto nelle aste a prezzi maggiori, quale altro prodotto agricolo può essere commercializzato a 500 euro al Kilogrammo?

Solo così e certamente, si sottrarrebbero risorse alle narcomafie e si avrebbero risparmi di ricaduta non solo economici ma anche e soprattutto sociali, evitando di arrestare ancora chi utilizza la pianta che in questo modo cesserebbe di essere una “merce” economicamente appetibile per nessun mercato nero grazie al crollo del suo prezzo. Evidentemente gli obiettivi sono altri e legati alla idea del poter trarre profitto sostituendo un monopolio, o più esattamente parte di esso, con un duplice monopolio, che oltre ai vecchi gestori vedrebbe l’ingresso dello stato nel business, con un giro di concessioni e elargizioni varie, che produrrebbe si molta ricchezza, ma per pochi eletti e costi sociali ancora alti per tutta la popolazione.

10 / 12 EURO AL GRAMMO è un prezzo speculativo degno di una privatizzazione che può essere causata solo dal proibizionismo o dal monopolio, che poi sono la stessa cosa.

Non è la sola nota per noi insolitamente incomprensibile e a tratti grottesca del suo intervento sul quale torneremo a breve, la parte più divertente sarà sulla parte di intervento nei futuri negozi legali, dove sarà possibile “intercettare” gli assuntori di cannabis per informali, in una ottica di RIDUZIONE DEL DANNO, sui rischi DA ABUSO DI CANNABIS che potrebbe svolgere il “privato sociale”, con costi valutati in 50 milioni di euro annui.
Non è questo poi il solo intervento sul quale torneremo e, un poco alla volta, ce ne sarà anche per altri, visto che quella che abbiamo individuato parrebbe essere una miniera inesauribile, che molto meglio delle dichiarazioni ufficiali, svela i piani della nuova corsa all’oro cannabis.

Mercoledì 15 giugno 2016. Testo integrale, Leopoldo Grosso, Presidente onorario del Gruppo Abele, da pag 16 a pag 20, e da pag 26 va pag 27: http://goo.gl/XIwNrg

leopoldo-grosso-gruppo-abele-audizioni-camera-cannabis-legale

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Un commento su “Quanto “vale” davvero la Cannabis?

  1. Il prezzo reale della cannabis dovrebbe essere molto inferiore a quello degli alcolici, intorno ai 50 centesimi al grammo (poco più per quella di migliore qualità), la mia esperienza deriva dal fatto che ho vissuto in India e lì il prezzo della ganja è intorno alle 500/600 Rps. l’oncia “circa 33g.”, quando una birra o un super-alcolico costano circa 80/160 Rps. a bottiglia o bicchiere.
    La produttività della cannabis è esponenzialmente superiore a quella della vigna o dei cereali usati per la birra/alcolici.
    Per produrre una singola bottiglia di vino o di birra serve la stessa quantità di terreno “o superiore” a quella che serve per coltivare una pianta di cannabis AK-47 e che può produrre fino a ½ Kg. di fiori, in pieno campo e senza usare nessun tipo concime chimico o di pesticida, mentre per produrre una bottiglia di vino decente servono parecchi metri di terreno totalmente dedicato, dozzine di trattamenti chimici e complesse lavorazioni in cantina.

    Se il prezzo della legalizzazione costasse più o quanto il prezzo del proibizionismo, ovvero, se il monopolio di Stato, o qualche multinazionale dovesse specularci, sfruttando l’imposizione fiscale o gli introiti milionari per ripianare i debiti accumulati dall’inettitudine o la corruzione dei burocrati, o solo per pubblicizzarne l’uso ed incrementare i guadagni per gli investitori alle spese di tutti i cittadini.

    Allora sarebbe meglio che questa maledetta legalizzazione non avvenisse mai, ma dovremo sperare in una più semplice e sincera depenalizzazione del reato, altrimenti dovremo pretendere tutto e come era stato stabilito fin dall’inizio, coltivazione personale depenalizzata, dove gli introiti fiscali vanno esclusivamente per migliorare salute, educazione, ad altri progetti pubblici e meritori…

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