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Sono iniziati i XXXI Giochi Olimpici a Rio de Janeiro, in Brasile, e saranno le prime Olimpiadi Estive dove la Cannabis sostanzialmente avrà una maggiore tolleranza, purchè non venga utilizzata durante lo svolgimento della competizione e nelle ore immediatamente precedenti.

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La decisione è stata presa già nel 2013 dalla WADA e la traduzione operativa è già in vigore dai Giochi Olimpici Invernali 2014: non più 15 nanogrammi/millilitro, ma addirittura 150, soglia di rilevazione decuplicata. Un innalzamento che dovrebbe praticamente cancellare l’80 % delle positività del genere, forse anche di più.

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La questione è in qualche modo politica, mediatica ed economica, non tanto “sociale”.

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In effetti la positività per cannabis non era una sanzione di carattere morale visto che l’esame antidoping per la sostanza era ristretto soltanto ai controlli post gara.

Il principio era quello di colpire eventuali vantaggi indiretti, la parola più usata è “rilassanti”, insomma un beneficio sulla prestazione.

La proibizione riguardava già soltanto la gara, la competizione.

Tanto che nei controlli a sorpresa, invece, la cannabis non si cercava neanche.

Il problema è che con quella soglia, 15 nanogrammi, la rete rischiava di colpire anche il consumo in una festa (ma non il fumo passivo, che secondo gli esperti non produce più di 2-3 nanogrammi/millilitro nell’urina) magari un paio di settimane prima della competizione e senza alcun fine dopante. Sui tempi di smaltimento della sostanza, in effetti, non c’è un pronunciamento scientifico definito. Ora, con il passaggio a quota 150, si dovrebbe colpire soltanto il consumo nelle immediate vicinanze, un giorno o giù di lì, della competizione.

Il problema è che nel 2011, nel mondo dello sport olimpico si erano registrati 445 casi di positività alla cannabis, ben l’8 % del totale, una bella fetta della torta, un grande impegno per i laboratori.

Che prestava il fianco a una considerazione critica nei confronti dell’efficacia del sistema antidoping: mentre si annuncia il doping genetico, con le inchieste giudiziarie che smascherano assunzioni che i controlli spesso non riescono a evidenziare, voi pensate a controllare le canne… spendendo soldi e rischiando duelli legali per sanzioni inevitabilmente molto limitate (la media delle squalifiche non era superiore ai due mesi) a suon di parcelle, che andrebbero riservate ad altre vicende, per esempio alla difesa di quella che è sempre più la trincea del passaporto biologico, la frontiera su cui si sta combattendo più fra istituzioni e legali dei “positivi” con le prime che hanno avuto finora la meglio sulle seconde.

D’altronde il risparmio di ricerca e di denaro è evidente.

In tempi di crisi, c’è anche un problema risorse, inutile negarlo, l’antidoping può rischiare di fare il vaso di coccio.

Inoltre diverse federazioni sportive internazionali avevano chiesto la cancellazione del divieto che vale dal 1999.

Phelps, primo nuotatore maschile americano a qualificarsi per cinque volte per le olimpiadi, finì in uno scandalo per una sua foto con un bong qualche anno fa, anche se non venne punito sulle medaglie giustamente vinte, come invece però accadde per lo Snowboarder canadese Ross Rebagliati che nel 1998 è risultato positivo alla cannabis ed ha cosi visto ritirare la sua legittima medaglia d’oro olimpica.

Ora la situazione è differente e l’uso di cannabis a livello ricreativo non è più considerato forma dopante fino al limite di 150 nanogrammi per millilitro; gli atleti però, se vorranno utilizzare cannabis per il loro uso personale dovranno comunque fare a Rio de Janiero, però, perché la cannabis è ancora illegale in Brasile – anche se la Corte Suprema ha ritenuto di effettuare un’ampia depenalizzazione nello scorso anno.

 

FONTI: Gazzetta dello SportBustle

 

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