Nuova Assoluzione ad Udine per coltivazione personale

Progetto FreeWeed - Legalizzazione Cannabis

Articolo di Luana de Francisco

Ribaltata la sentenza di condanna nei confronti di un 37enne trovato con una pianta di cannabis. La difesa aveva insistito per l’uso personale.

I giudici hanno ritenuto la sua condotta inoffensiva.

UDINE. Coltivare una pianta di cannabis non integra sempre e comunque una responsabilità di carattere penale. Non comporta, cioè, l’automatica condanna a una pena detentiva. È quanto stabilito da una recente sentenza della Corte d’appello di Trieste, che, ribaltando la decisione del gup del tribunale di Udine, che nel 2013 aveva inflitto all’imputato 7 mesi di reclusione e 900 euro di multa, qualche mese fa lo ha assolto con la formula «perchè il fatto non sussiste» (il giudizio è da poco diventato irrevocabile). Ossia, perchè la sua condotta è stata ritenuta «inoffensiva».
La vicenda, in sè non particolarmente originale – le coltivazioni “fai da te” in casa o in giardino sono abbastanza frequenti -, costituisce tuttavia un caso tecnicamente interessante, proprio perchè l’assoluzione è stata pronunciata nel merito e non, come spesso accade in presenza di piccoli quantitativi di sostanza stupefacente, per la «particolare tenuità del fatto».
A fare la differenza, insomma, è stato l’accertamento da parte dei giudici (presidente Francesca Morelli, a latere Donatella Solinas e Gloria Carlesso) del «difetto di offensività della condotta».
Il fatto che non si trattasse di una coltivazione intensiva, bensì di una singola pianta di marijuana alta un metro e tenuta nell’armadio del garage, tuttavia, non aveva impedito al giudice di primo grado di ritenere l’imputato responsabile del reato di detenzione di sostanza stupefacente, seppure nell’ipotesi lieve, e di condannarlo, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il ritrovamento della pianta risaliva al 18 aprile 2011 ed era avvenuto nell’abitazione di un 37enne di Cervignano del Friuli. Con quel solo alberello, stando ai calcoli degli inquirenti, sarebbe stato possibile ricavare 337,7 dosi medie giornaliere.
Tutte destinate a un «uso esclusivamente personale», aveva sostenuto il difensore, avvocato Federico Carnelutti, che proprio per questo aveva parlato di «coltivazione domestica» e osservato come il proprio cliente, ritenendo di non commettere illecito, avesse acquistato i semi da un sito web, facente capo a una società italiana con sede a Firenze. Con modalità «trasparenti», insomma, da un canale di fornitura che operava alla luce del sole.
In appello, l’impugnazione della difesa è stata giudicata fondata e, pertanto, accolta. «Con le più recenti pronunce in tema di coltivazione – spiega il presidente nelle motivazioni –, la Corte di cassazione ha più volte sottolineato la necessità che il giudice operi una valutazione, caso per caso, circa l’effettiva offensività della condotta posta in essere dall’imputato. Conseguentemente, laddove questa dovesse ritenersi tale in concreto, dovrà procedersi con giudizio assolutorio per insussistenza del fatto».
E così è stato per la piantina di canapa indiana trovata a Cervignano, giudicata «assolutamente inidonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma, non potendosi ricavare da essa un quantitativo apprezzabile di sostanza stupefacente, tale da agevolarne la diffusione sul mercato».
Una “buona notizia”, quella giunta dall’Appello triestino, visto che neppure la depenalizzazione dei reati (e dell’articolo

28 comma 2, in particolare) in uscita a giorni continuerà a mantenere la punibilità di ogni forma di coltivazione di cannabis – compresa quella domestica personale, dunque -, con la sola eccezione per quella a scopo terapeutico e di ricerca autorizzati.

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