Articolo del Dr. Simone Fagherazzi, fonte DikeSalute
Affrontare il problema, in Italia, è sempre difficile.
Quando mi è stata posta questa domanda, grazie al sito www.cannabisterapeutica.info, mi sono trovato a riflettere. Su cosa sia la figura dell’infermiere dall’antichità fino a come si è evoluto nella società attuale.
Forse sto disattendendo le aspettative di chi ha posto la domanda ma io credo che la natura della stessa ponga il problema di affrontare la questione in maniera più ampia.
L’infermiere, a mio avviso, è la figura chiave nel processo di guarigione di un paziente, questa mia affermazione è dissonante con quello che è il pensiero comune che vede il camice bianco del Medico come detentore del potere di guarigione.
A ben guardare è l’infermiere che si prende cura del paziente mentre il medico, per organizzazione del sistema, ha solo pochissimo tempo da dedicare ad ognuno perdendo di vista così, a volte, quelli che sono i reali problemi di una persona a scapito di quello che oggettivamente ed esternamente presenta. La malattia è qualcos’altro, è un concetto molto più complesso.
Se entriamo più nello specifico nel tema Cannabis vediamo come, attualmente, le azioni dell’infermiere siano estremamente limitate, quasi assenti. Questo perché? Perché, essendo considerato un farmaco stupefacente, l’infermiere, per competenza dichiarata, non è in grado di gestire la terapia perché “troppo complessa”. Tralasciando la mia esperienza personale in cui ho potuto constatare di persona come, spesso, infermieri dalla indiscussa esperienza abbiano capacità ben più alte del medico di gestire situazioni paziente-correlato. Nella Cannabis ancora di più l’infermiere deve fare i conti con il pregiudizio del medico che tende, per paura, ad accentrare tutto sulla sua figura e ad adottare un atteggiamento molto protezionistico. Per tale motivo, ad oggi, l’infermiere ha un ruolo limitatissimo, se non assente, nella terapia con i farmaci Cannabinoidi.
Ciò che io credo, però, è che questa figura professionale possa rappresentare un ruolo chiave per la gestione di questa terapia per un semplice motivo. A differenza di quello che pensa ad oggi la classe medica, è mia convinzione che la Terapia a base di Cannabinoidi debba essere intimamente autogestita dal paziente al fine di trovare sia il tipo di pianta che il dosaggio più adeguato alle sue esigenze. In questa visione, ammettendo chiaramente il limite di conoscenza della persona “non addetta ai lavori” ci si troverebbe a far fronte ad una marea di domande, dubbi e paure, da parte di coloro che intraprendono questo tipo di autoterapia. È qui che l’infermiere entrerebbe in gioco, a mio avviso, nel ruolo più importante che ci possa essere per un malato. L’aiuto nella risoluzione di queste sue paure. L’infermiere potrebbe rappresentare quel filtro adeguato che screma gli “effetti collaterali insignificanti” da un qualcosa che debba essere preso in considerazione dal medico. Per attuare questo tipo di assistenza, quindi, l’infermiere, dovrebbe avere una conoscenza pratica della sostanza al fine di non riversare le proprie paure ideologiche sui pazienti già preoccupati di star intraprendendo una terapia “particolare”.
Se vogliamo però riportare il discorso all’attualità si può vedere come l’infermiere, ad oggi, giochi un ruolo fondamentale per il riconoscimento di questa terapia. È chiaro, infatti, come il maggior rapporto umano ed il minore distacco “di classe” che si manifesta tra paziente ed infermiere possa favorire il racconto di una autoterapia, ad oggi molto diffusa, ma che molto poco spesso viene dichiarata. Avere la presenza in ospedale di infermieri che non guardano con pregiudizio la sostanza ma sono aperti al racconto dei benefici che il paziente verifica nel suo utilizzo, potrebbe rappresentare, per i medici intellettualmente onesti, un bagaglio di conoscenza ed esperienza impagabile. Qual è il problema in tutto questo? Che solitamente gli infermieri vengono paragonati ad automi che svolgono il lavoro su input esclusivo del medico. Io ho un opinione differente e credo che, senza gli infermieri, il medico sarebbe un pesce fuor d’acqua in moltissime situazioni, avendo perso la capacità di risolvere le questioni autonomamente ma dovendosi sempre appellare a quello che altri sopra di lui hanno riportato come “vero”. Fa tutto parte di quel quadro distorto della società in cui stiamo assistendo alla nascita progressiva dell’Homo Burocraticum, obbediente, privo di volontà e che segue pedissequamente ciò che i suoi superiori dicono essere giusto fare.
Ad oggi l’infermiere può solo ascoltare, fare tesoro, e sperare che, un giorno, i medici riscoprano quell’umiltà che gli consente di chiedere un consiglio sincero a coloro che ingiustamente reputa come “inferiori”.
Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.
immagine di copertina da: NORML
per chi volesse approfondire in inglese: AMERICAN NURSE ASSOCIATION
Dr. Simone Fagherazzi
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