La Ricerca del Sacro Graal – La Cannabis Italiana

Progetto FreeWeed - Legalizzazione Cannabis

Parlando dei tempi andati, con diversi amici, ad un certo punto arriviamo sempre a ricordare la vecchia sativa italiana con i suoi effetti e i suoi sapori.

E capita che insieme si sogni di ripercorrere i vecchi tratturi nei quali una volta le piante crescevano spontanee e ritrovarne i semi, da questi partire per rielaborare, ricreare, reimpiantare varietà autoctone, da outdoor adattate al nostro clima e alla nostra durata del giorno, che amino i nostri terreni e la nostra acqua dura perché, come era ancora solo 30 anni fa, le piante tornino a crescere lungo ogni strada di campagna, e da li si diffondano in ogni orto, in ogni giardino e su ogni balcone.

Ok è un sogno, proprio quei semi si sono persi, ma probabilmente, forse, in ogni regione ci sono un paio di persone che hanno resistito alle sirene delle varietà moderne e che hanno continuato a coltivare i vecchi semi; forse questi semi non sono più totalmente puri ma almeno sono molto simili a quelli di un tempo (questo è proprio un appello,  chi ha notizie in merito mi faccia sapere, per favore).

Pochi giorni fa parlavo con il Presidente della nostra Associazione FreeWeed, e gli ho chiesto: “Stefano, ma quando potremo di nuovo coltivare, cosa diventerà FreeWeed?”.

La risposta del Presidente è stata, più o meno, che sarebbe bello, oltre alla promozione sociale, educativa ed informativa, che continuerà incessantemente, se gli attivisti di FW si unissero in alcuni CSC di cui l’associazione sarebbe una sorta “ direzione coordinativa”, una rete di clubs che seguono le stesse linee guida, che hanno la stessa attenzione non solo alle canne ed al fumare insieme, ma anche a tutti gli altri usi della pianta, anche all’informazione in primis; si può arrivare fino ad immaginare che questa rete di clubs no profit potrebbe usare la forza dei propri numeri per l’organizzazione, per dire, di eventi itineranti, faccio un esempio, per dire, organizzare un tour in Italia di Jorge Cervantes, con conferenze in ciascuno di questi clubs affiliati e questa sarebbe solo un idea delle possibili sinergie che si potrebbero creare con questo network coordinativo di clubs.

Il mercato della droga, per come oggi lo conosciamo, è un prodotto delle politiche anti-droga, cioè della rendita criminale assicurata dalle leggi proibizioniste.

Quanti si sono applicati con rigore scientifico all’analisi dell’economia delle droghe – si pensi a due Premi Nobel molto distanti nelle premesse teoriche e nell’inclinazione politica, come Milton Friedman e Lester Thurow – hanno generalmente concluso che l’eterogenesi dei fini della politica proibizionista è implicita nei suoi presupposti ed esplicita nei suoi esiti e che per mutare i secondi occorre, necessariamente, intervenire sui primi.

Sfortunatamente anche la canapa che vediamo attualmente è un prodotto delle leggi proibizioniste, non è stata voluta così ne dai bisogni o dai gusti dei consumatori ma è stata pensata per poter essere coltivata fondamentalmente in indoor per sfuggire alla criminalizzazione della pianta, del coltivatore e del consumatore.

Purtroppo, per quanto riguarda le varietà psicoattive, spesso i selezionatori di genetiche hanno badato più alle esigenze finanziarie delle loro aziende che alla tutela della bio-diversità, e come in ogni fenomeno globale, qualcuno, in questo caso le varietà italiane autoctone, ha pagato il prezzo.

Fino alla metà degli anni 50 del secolo scorso, in Italia, la canapa era coltivata in percentuali rilevanti rispetto al totale delle colture in quattro regioni: Piemonte, Veneto, Emilia, Campania. In diverse altre regioni era comunque coltivata in misura minore, principalmente per la produzione di seme. Erano riconosciute ufficialmente 5 varietà di canapa Italiana, Carmagnola, Polesana, Ferrarese, Atellana ( anche detta Pedemontana, Campana) e Nana Napoletana, quest’ ultima varietà era coltivata, diciamo sporadicamente, a macchia di leopardo nei comuni dell’ “ areale napoletano”, nome che indica una zona che comprende i comuni della provincia di Napoli e una cintura dei comuni province di Salerno, Avellino e Caserta, per fornire materiale galenico.

Ancora negli anni settanta del secolo scorso se ne potevano vedere alcuni esemplari nell’orto botanico di Napoli.

Ho spesso sentito dire che la canapa non fa parte della cultura italiana ma, visto che della cultura dei contadini ne fa parte, di quella degli imprenditori pure, per non parlare di quella dei farmacisti, che avranno pure una memoria storica anche loro, spero, visto che ci facevano, come stiamo riscoprendo, di tutto, probabilmente si vuole intendere che non fa parte della cultura italiana l’uso meditativo della canapa ed allora mi permetto qui di citare un farmacista fiorentino (all’ epoca si diceva speziale) che si dilettava di scrivere in rima

“ Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l’erba

che l’fé consorto in mar degli altri dèi

Transumanar significar *per verba*

Non si poria; però l’essemplo basti A cui esperienza grazia serba.”

A questo punto credo che sarebbe un dovere del movimento cannabico italiano promuovere la riselezione di varietà simili a quelle che furono le nostre e che sono andate quasi tutte ormai irrimediabilmente perdute.

Abbiamo visto 4 varietà sative dunque e un indica; questo è quello che avevamo, ovviamente era tutto outdoor, quindi la canapa Campana presentava un tasso variabile ma spesso evidente di ibridazioni casuali e mi auguro che ci sia qualcuno tra di voi a cui “esperienza grazia serba”.

E’ un invito a cominciare a pensare e a discutere se vi piacerebbe sostenere l’idea di una riscoperta di una sativa da outdoor italiana con uno “spirtz” indico. Selezionata e riscoperta, quando si potrà, da membri di quella rete di CSC di cui si parlava prima e che lentamente sta prendendo piede nei progetti dei veri attivisti FreeWeed.

Ci sono genetiche storiche (vengono definite “landraces”) che si adattano al nostro clima e che sono disponibili nelle seed banks; penso alla early maroc, alla libanese(è a dominanza indica), all’egiziana, tutte le sative sud americane pure che potrebbero fornire materiale per questa ricerca, e naturalmente sarebbe sciocco non considerare di immettere anche geni già pre-selezionati da grandi della ricerca, considerando che alcune delle varietà moderne sono ormai stabilizzate e non sono più F1.

Azzone Turabusi – Attivista FreeWeed

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One response

  1. Io ho anche una amica che fa la biologa … sarebbe fantastico recuperare gli antichi genomi italici! forza ragazzi!

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