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 “Il miglior medico è la Natura” Louis Pasteur

Dr. Cannabis di Fabrizio Cinquini è stata senz’altro la lettura che maggiormente mi ha colpito sulla tematica dell’antiproibizionismo che mi sia capitata tra le mani nei miei anni di attivismo: un romanzo autobiografico nel quale si racconta la vita di un dottore che, lentamente ma inesorabilmente, scopre e si appassiona al mondo della cannabis, fino ad esserne completamente immerso, affascinato e dedito alla riaffermazione del suo enorme potenziale terapeutico e sociale.

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Un libro che sicuramente mi ha lasciato dentro qualcosa, al termine della lettura ma anche all’interno delle sue pagine, scritte con un fervore tale da trascinare completamente il lettore all’interno della narrazione, lasciandolo sempre incuriosito sulle svolte che avverranno e sulle decisioni che verranno prese.

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Ma, fuori di dubbio, la particolarità fondamentale che traspare dalle parole del Dottor Cannabis è data dal profondo senso sociale delle motivazioni, espresse abilmente con “cappa e spada” da Cinquini, che portano il dottore ad affrontare e voler affrontare percorsi diversi, sicuramente impervi ma altrettanto appaganti.

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Chiuse le pagine mi è rimasto un senso di libertà, “una libertà”, come ben raccontato da Gianluca Ferrara nella sua introduzione, “completamente perduta nell’odierna società”, “perchè Fabrizio, prima di essere un medico, è un uomo libero”.

Ogni capitolo viene aperto da una sempre interessante citazione letteraria, che catapulta al centro del concetto che verrà poi trattato nelle pagine successive; una narrazione in prima persona che racconta di una affascinante, quanto reale, storia di vita vissuta, dagli albori delle prime motivazioni allo sviluppo delle prime coltivazioni di cannabis, fino ad addentrarsi nel dettaglio della coltivazione e del suo rapporto, positivo, con la salute sociale.

Un Romanzo estroverso, che si racconta, ama aprirsi e farsi leggere, ricco di aneddoti efficaci che, come detto, trasportano chi legge all’interno della storia narrata, immedesimandolo quasi nel protagonista delle vicende, quasi come lo stesse accompagnando nel suo viaggio, tra alti e bassi, di presa di coscienza.

Fabrizio Cinquini ha sempre affiancato il suo grande, enorme attivismo ad un desiderio di ricerca e di indagine sociale comune a poche persone, e questa sua fantastica virtù si è riflessa anche nel suo stile di scrittura che sfiora l’analisi psicologica in alcuni tratti, dove la narrazione si sovrappone al ragionamento, con un’impronta autoironica unica nel suo genere:

“L’egoismo è un’energia perversa e potente, sua gemella fraterna è la paura. Entrambi si comportano come fuoco: ben controllato cuoce il cibo, scalda il nido, permette straordinarie alchimie, ma se divampa fuori controllo è solo distruttivo. Totalmente liberi da egoismo e paura gli esseri umani si priverebbero dei carburanti che nutrono l’istinto di sopravvivenza e lo spirito di conservazione. Se i nostri avi non ne fossero stati dotati, io non sarei qui a inchiostrar carta e voi non sareste li a pensare (almeno quelli di voi che hanno raggiunto l’insidiosa dimensione del pensiero): Ma li fanno proprio scrivere a chiunque i libri?”

Cinquini racconta la sua storia, che lui stesso definisce a tratti “romanzata”, una storia fatta di esperienze particolari, complicate, fatte di soddisfazioni e di problematiche, di soluzioni e di ricerca, con il fine ultimo di determinare ed avvalorare l’aspirazione alla libertà della pianta di cannabis e della sua coltivazione.

Un libro che trasmette l’amore per la cultura e per la coltura, con passaggi interessanti riguardanti le motivazioni che spingono praticamente tutte le persone ad alterare il proprio stato psicofisico, incentrato sul come una legge proibizionista creò un enorme paradosso vietando la coltivazione personale di cannabis:

“Persone abituate a vivere nella serena pace, che deriva da una vita onesta e tranquilla, videro violare la loro intimità domestica dalle stesse figure che, nel loro più intimo credo, avrebbero dovuto rafforzare il senso di sicurezza nel quale erano abituati a vivere.”

Dr. Cannabis parla di legislazione attuale, sottolineando che esistono alcune leggi che meritano rispetto, come le tre leggi di Mendel, ed altre che non lo meritano affatto, come quella che vieta la coltivazione di cannabis per uso personale.

Ma, nonostante le giustificate ragioni logiche, Cinquini ha dovuto comunque subire le conseguenze delle sue azioni, scontando ingiuste pene e carcerazioni, di cui racconta il susseguirsi all’interno del suo romanzo, descrivendo dettagliatamente il suo percorso sociale e penale, che però non ha mai inciso minimamente sulla libertà di pensiero e sulle azioni di Fabrizio, fino a fargli degnamente meritare l’appellativo simpatico di Dottor Cannabis.

Una intensa postfazione storica di Matteo Provvidenza chiude il racconto, introducendo dati ed analisi storico/economico/sociali più da vicino, dati che è sempre importante avere sottomano per ricordare come e soprattutto perchè fu introdotta questa folle proibizione.

Dr. Cannabis ci ha appassionato e coinvolto, e ne consigliamo sinceramente la lettura a chiunque voglia farsi un’idea corretta delle motivazioni che stanno dietro all’operato delle persone, in questo caso il dottore Fabrizio Cinquini, ed anche a chi vuole provare ad approcciare per la prima volta con queste tematiche socio-legali; insomma.. un libro consigliato davvero a tutti!

Chiudiamo con un frase fantastica di Fabrizio, augurandoci che ci mandiate le vostre opinioni!

“Dottore, di qualcosa c’è da morire”

“No! Tu sei già morto. Lotti per difendere chi ti scava la terra sotto ai piedi. Io no! Sono ancora vivo e se scavo la terra non è per seppellirti come fanno i tuoi capi, ma è per convincerla a donare i suoi frutti al meglio delle sue possibilità. Ogni volta che avete interrotto la vita alle piante sacre, avete spinto qualcuno a peggiorare anche la vostra esistenza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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