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Riportiamo l’analisi del CSOA Gabrio di Torino sulla tragedia avvenuta pochi giorni fa a Lavagna.

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“Apprendiamo con sgomento la notizia della morte di Carlo (nome di fantasia…), studente di 16 anni, ennesima vittima del proibizionismo. Un giorno come tanti, in cui ad aspettare lo studente all’uscita dalla scuola, c’è la Guardia di Finanza, a quanto pare su segnalazione della madre che era preoccupata per il fatto che il figlio si facesse le canne.
I militari effettuano una perquisizione trovando pochi grammi e come se non bastasse l’infame operazione prosegue con la perquisizione a casa, procedura prevista senza l’autorizzazione di un magistrato visto che la legge presume che ogni possessore sia un potenziale spacciatore. Questa scelta univoca porta con se tutto lo stigma, il giudizio e la vergogna che conseguono nel vedere macchine con lampeggianti sotto la propria abitazione in un paese di provincia, manco si trattasse del più pericoloso criminale.

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Evidentemente Carlo non ha saputo reggere, decidendo di porre fine alla sua fino ad allora felice esistenza, a detta di amici e conoscenti. Le politiche sulle droghe fanno enormemente più vittime delle droghe stesse, è una frase che non smettiamo mai di ripetere, come in questo caso in cui sicuramente quei dieci grammi di fumo non avrebbero mai potuto ammazzare nessuno in un sistema dotato di un minimo di buon senso.

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Le perquisizioni con cani anti droga nelle scuole d’altronde sembrano intensificarsi negli ultimi mesi, ragazzi e ragazze intimiditi da militari mandati dallo Stato, che per farci sentire più sicuri pianifica e dispone interventi di questo tipo, tanto inutili nei loro obiettivi quanto a volte drammatici nelle loro conseguenze. Azioni come queste non sono quasi mai iniziative spontanee delle forze dell’ordine, ma politiche di controllo del territorio, concertate a tavolino in quelli che vengono definiti dai media come patti per la sicurezza.
Il proibizionismo è basato sull’odio fascista di una società totalmente incapace di riconoscere e rispettare gli altri, sempre alla ricerca di soggetti deboli, come i giovani, a cui fare la guerra. Odio e guerra costruiti e fomentati dai commenti di politici, rappresentanti delle forze dell’ordine e giornalisti asserviti interamente all’ideologia senza ormai né arte né parte, parole assurde e prive di significato: è colpa della droga, bisogna trovare chi gliel’ha venduta, è colpa della famiglia se il ragazzo si drogava, era un drogato se l’è cercata, non si può mettere in relazione questa disgrazia con l’intervento della finanza, etc…Noi i colpevoli però sappiamo bene chi sono.

A cominciare dalla scuola, fallimentare nei propri metodi educativi in cui gli unici interventi sulla questione sociale più ampia della droga è fatta dalle sole perquisizioni della ffoo. A seguire la politica che con il suo totale disinteresse rispetto ad un auspicato cambiamento di paradigma, riempie le carceri di assuntori di sostanze, lasciando nelle mani delle mafie il mercato dello spaccio che oggi in Italia vale 14 miliardi di euro ogni anno, e che delega alle ffoo del tutto impreparate il delicato compito di fare educazione e prevenzione; e come in questo caso di farsi carico delle angosce di una madre che evidentemente non trovano spazi adeguati di ascolto. Accanirsi contro persone inoffensive che scelgono un comportamento che nulla ha a che vedere con devianza o patologia, sembra un retaggio di una classe politica che deve mascherare le proprie nefandezze, individuando in questo terreno dei colpevoli da dare in pasto all’opinione pubblica.
Ci lascia ancora più sgomenti la rassegnazione della società rispetto a questi abusi di potere, come se fosse edificante ed educativo irrompere nelle classi, interrompere le lezioni alla ricerca di pochi grammi di sostanze, pregiudicando vita e carriera scolastica dei malcapitati studenti; e punendo con sanzioni disciplinari chiunque provi ad opporsi a questo sistema, come successo l’anno scorso ad un docente che fece valere i propri diritti negando l’accesso dei poliziotti con i cani nella propria aula. C’è più interesse a controllare gli studenti piuttosto che ad educarli, in ogni caso è questo il messaggio che arriva loro e che fa sembrare vana ed inaffidabile l’istituzione scolastica, come faceva notare qualche giorno fa un docente di Siena testimone di una di queste barbare perquisizioni.

Probabilmente se ci fosse stato interesse per il tema, se si fosse attuato un confronto critico sull’efficacia di queste azioni piuttosto che darle per scontate e legittime, se reti, genitori e collettivi studenteschi avessero iniziato a mobilitarsi, le cose s andrebbero diversamente…oggi invece ci ritroviamo impotenti a piangere l’ennesimo morto di un sistema fallimentare che viene imposto ed intensificato nonostante le evidenze. E l’importante in questa situazione sarà individuare chi abbia venduto la droga che ha ammazzato Carlo!

Questa triste e drammatica vicenda dovrebbe quantomeno farci interrogare sul dove stiamo andando, se il disinteresse e la delega a chi combina solo danni sia l’atteggiamento più giusto da tenere, se ignoranza, ideologia, delirio e repressione possano essere oggi gli unici strumenti da mettere in campo per fronteggiare una tematica delicata come l’uso di sostanze e le conseguenze che produce. Probabilmente invece si scadrà come al solito in discorsi demagogici prendendosela con la droga, con chi la usa, con gli spacciatori del caso e con chi propone alternative alla proibizione pragmatiche ed efficaci. Parole vomitate per qualche settimana e poi ovvio, tutto come prima ad aspettare che un’altra inevitabile disgrazia dia altri argomenti di conversazione.

Carlo non può morire invano. Basta vittime, contro ogni proibizionismo.”

CSOA Gabrio

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