Proposta Referendum Fini-Giovanardi (annullata) [OLD]

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Avviso Importante

In data 12 Febbraio 2014 la Corte Costituzionale ha bocciato la legge Fini-Giovanardi, pertanto – a distanza di più di 1 anno dall’attuazione – dichiariamo interrotta la presente iniziativa popolare referendaria.
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Premessa

Sebbene la consultazione referendaria rappresenti lo strumento per eccellenza di esercizio della sovranità popolare, il cui esito è una fonte del diritto primaria, inappellabile (cioè che vincola il legislatore al rispetto della volontà del popolo), nella pratica, oggi, in Italia, i referendum sono sottoposti ad ogni sorta di limite, a partire dallo scopo: la nostra Costituzione, infatti, non prevede referendum di tipo propositivo, deliberativo o legislativo, cioè tali da poter essere effettivamente considerati strumenti di democrazia diretta attraverso cui l’emanazione di nuove leggi e/o la modifica di quelle in vigore avvengano in maniera coerente con l’espressione popolare.
L’unico modello attuabile, seppur con non poche difficoltà e limiti, è il referendum abrogativo che, come suggerisce la parola stessa, ha il solo scopo di abrogare una legge esistente (o parte di essa), rimuovendola dall’ordinamento, senza alcuna possibilità di integrazione o modifica ed a patto che l’abrogazione proposta non crei un vuoto legislativo, cioè una condizione di assoluta non vigenza di una norma precedentemente regolamentata. Inoltre, come se non bastasse, il referendum abrogativo non è ammissibile qualora coinvolga norme collegate ad impegni comunitari e/o trattati internazionali ratificati dal Parlamento e non sottoponibili a consultazione referendaria secondo la Costituzione Italiana.

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Nel nostro caso, ciò equivale a dire che oltre a non poter abrogare completamente le pesantissime sanzioni penali previste per la semplice detenzione personale di Cannabis e/o le piccole coltivazioni domestiche (si creerebbe un vuoto legislativo NON ammissibile), uno dei maggiori ostacoli – per quanto riguarda il cambio dell’attuale normativa antidroga attraverso un referendum di iniziativa popolare – è costituito dalle Convenzioni Internazionali che obbligano gli stati sottoscrittori, fra i quali l’Italia, a considerare illecita anche la sola detenzione di stupefacenti, anche se per esclusivo uso personale non terapeutico: Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York il 30 marzo 1961 ed emendata dal Protocollo di Ginevra del 25 marzo 1972 e Convenzione sulle sostanze psicotrope adottata a Vienna il 21 febbraio 1971).

Occorre perciò precisare, con massima chiarezza e serenità, che lo scopo del Progetto Referendario FreeWeed non è la depenalizzazione e/o la legalizzazione della Cannabis, dato che questi obbiettivi, per le ragioni appena espresse, semplicemente non possono essere ottenuti tramite un Referendum Abrogativo, pur rimanendo la nostra massima aspirazione. Ciò sarebbe possibile, eventualmente, solo attraverso la proposta, l’approvazione e l’applicazione di nuova legislazione in materia di stupefacenti: condizione assai improbabile da raggiungere, a quanto pare, se non attraverso un forte impegno dei Cittadini per determinare, tramite gli strumenti di democrazia diretta a propria disposizione, un intervento politico nei confronti dell’attuale normativa antidroga.

Per questa ragione, sebbene il solo referendum abrogativo non costituisca lo strumento attraverso cui poter stabilire democraticamente ed in maniera autonoma se depenalizzare la Cannabis, legalizzarla oppure no, esso rappresenta senza dubbio l’unico passo che è possibile compiere concretamente per riaprirne la discussione e muoversi in tale direzione, offrendo l’opportunità immediata di intervenire, responsabilmente, proprio su quella legge che per anni ha precluso ogni altra possibilità di dialogo, dimostrandosi tanto proibizionista e repressiva da essere stata già sottoposta al giudizio di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale Italiana.

Politica sulle droghe e legge Fini-Giovanardi

Mentre in tutta Europa si delinea una nuova strategia, caratterizzata da un riequilibrio di quelli che vengono definiti i “quattro pilastri” su cui basare la politica sulle droghe, non più semplice repressione, ma anche e soprattutto prevenzione, terapia e riduzione del danno, occorre considerare che Italia, invece, vige (e sopravvive) una normativa che si basa esclusivamente sul pilastro della Legge Penale e sul proibizionismo più esasperato e che, periò, la prospettiva di agire ed impegnarsi a favore della depenalizzazione e della legalizzazione della Cannabis nel nostro Paese non può trascendere dal prendere atto che l’ostacolo maggiore non è assolutamente rappresentato da vincoli internazionali – come qualcuno afferma – ma insito proprio nell’immobilismo politico di alcuni dei nostri partiti e nell’ostinazione di tutti gli altri (oggi “larghe-intese”) che promuovono e sostengono ad oltranza – in maniera del tutto irresponsabile – la cosiddetta legge Fini-Giovanardi, emanata nel 2006 dall’allora governo Silvio Berlusconi, tramite un colpo di mano che permise – nonostante la dubbia validità costituzionale – di spazzare via l’esito referendario del 1993 (nessuna rilevanza penale per la detenzione personale di stupefacenti) e di attuare un modello normativo ben più proibizionista e repressivo, che meglio avesse potuto rappresentare, evidentemente, la politica giustizionalista degli esecutivi a guida Silvio Berlusconi di quegli anni.

In un solo colpo, fu infatti abolita la naturale distinzione giuridica fra le droghe cosiddette “leggere” e quelle “pesanti”, fu reintrodotto il reato penale anche in caso di semplice detenzione personale di stupefacenti e, soprattutto, venne ripristinato (ed inasprito) un vecchio criterio normativo in base al quale il superamento di un limite quantitativo massimo (imposto successivamente, tramite Decreto Ministeriale) avrebbe potuto essere nuovamente considerato, da solo, un elemento normativo sufficientemente grave da consentire di giudicare il solo possesso di stupefacenti non più come personale, ma automaticamente finalizzato allo spaccio e, pertanto, soggetto alla stessa condanna penale che fino a quel punto era stata riservata esclusivamente al reato di produzione e traffico illeciti di stupefacenti: da 1 a 6 anni di carcere per le violazioni di “lieve” entità, da 6 a 20 anni in tutti gli altri casi.

Del resto, come esplicitamente dichiarato dallo stesso legislatore, la legge Fini-Giovanardi fu concepita “per il contenimento dei comportamenti connessi all’uso di stupefacenti attraverso l’inasprimento punitivo”, cioè per colpire non tanto le organizzazioni criminali (come evidenziato dalla progressiva diminuzione dei grossi sequestri di droga e dall’insignificante numero di arresti per “associazione finalizzata allo spaccio”) quanto per incriminare le persone comuni con uno stile di vita non omologato, che da quel momento in poi, sarebbero state perseguite, processate ed condannate come veri e propri criminali. Ed infatti, così è stato.

I risultati dopo sette anni di applicazione

In soli 7 anni di applicazione, la Fini-Giovanardi è divenuta – fra le migliaia di leggi che riempiono l’intero codice penale italiano – quella che, da sola, ha prodotto più di un terzo del numero complessivo di detenuti attualmente in carcere o sotto procedimento penale: 24 mila persone in totale, di cui 15 mila condannate definitivamente, 9 mila in custodia cautelare e 59 internate. Tanto che oggi il solo reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di stupefacenti è il fulcro, l’alimentatore ed il sostentamento di tutto il meccanismo giudiziario, dall’impiego delle Forze dell’Ordine, all’attività forense, per arrivare al sistema carcerario o di recupero, muovendo somme di denaro per noi inimmaginabili!

Il risultato più evidente si traduce nella presenza in carcere di circa 20 mila detenuti in più rispetto alla massima capienza prevista, di cui la stragrande maggioranza – occorre sottolinearlo – non è assolutamente costituita da trafficanti e spacciatori, ma da comunissimi cittadini, in buona parte dei casi nemmeno tossicodipendenti, ma semplici consumatori di Cannabis, talvolta anche occasionali, se non addirittura persone malate che usano la Cannabis per scopi medici e terapeutici, accusati di spaccio solo perché trovati in possesso di una quantità anche di poco superiore ai limiti imposti.

I problemi che intendiamo affrontare oggi

La denuncia del sovraffollamento penitenziario e dei costi insostenibili del proibizionismo, specialmente in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando, è diventata, nel corso del tempo, talmente grave e vergognosa da costituire oggi un alibi per non fare nulla, per il timore di dover affrontare le proprie responsabilità ed ammettere che il nodo cruciale che determina la quotidiana violazione dei diritti umani dentro le prigioni – e della esasperata limitazione libertà personale fuori – è costituito proprio dalla legge Fini-Giovanardi.

I partiti politici, come al solito, si dichiarano tutti continuamente intenzionati ad occuparsi di questo problema, sebbene la realtà dei fatti smentisca puntualmente ogni buon proposito: l’esempio lampante è rappresentato proprio dalle proposte legge degli stessi partiti, a favore di una modifica dell’attuale normativa antidroga, la cui discussione però – che avrebbe già dovuto aver luogo in Parlamento molto tempo fa – è perennemente rinviata a data da destinarsi. Niente di più, niente di meno, rispetto a quanto accade sul fronte istituzionale: la legge Fini-Giovanardi è tutt’ora in attesa di giudizio da parte della Corte Costituzionale, come già avvenuto in passato per altre leggi emanate dagli esecutivi a guida Silvio Berlusconi, per svariati profili di incostituzionalità sollevati dai Giudici della Cassazione: anche in questo caso, nonostante l’urgenza della questione, inspiegabilmente (forse per mancanza di adeguata sollecitazione), la Consulta – che avrebbe già dovuto essersi riunita molto tempo fa – non ha ancora pronunciato una sentenza definitiva in tal senso.

Intanto, come è naturale che accada, i problemi che vengono ignorati non scompaiono, ma al contrario si aggravano ed a pagarne le conseguenze – nel senso letterale del termine – sono sempre e solo i cittadini: col passare del tempo, infatti, il sovraffollamento carcerario si è trasformato in una vera e propria emergenza, tale da essere costata allo Stato italiano la sentenza di condanna da parte della Corte Europea di Strasburgo e l’obbligo di pagare, entro marzo 2014, una maxi-multi di circa 1 miliardo di Euro all’intera popolazione carceraria.

Ciò nonostante, occorre prendere tristemente atto di come il governo, finanche di fronte all’ennesima, clamorosa evidenza del fallimento della legge Fini-Giovanardi, dal punto di vista politico, economico, giuridico e sociale, abbia dato dimostrazione di non essere assolutamente intenzionato a farsi carico delle proprie responsabilità, se non attuando una serie di operazioni di facciata per evitare le sanzioni europee ed ottenere un ulteriore tornaconto personale: da una parte, appellandosi all’EU affinché vengano concessi i soliti finanziamenti eccezionali per la costruzione di nuove carceri e dall’altra, prospettando di varare le immancabili “misure straordinarie” finalizzate a svuotare (temporaneamente) le prigioni, prima che arrivi maggio 2014.

Le motivazioni e gli obbiettivi del Referendum

Date le circostanze, è inevitabile da parte nostra giungere alla conclusione che, ancora una volta, le soluzioni prospettate dall’attuale classe politica si mostrano assolutamente inappropriate e lontane anni luce dal poter soddisfare le reali esigenze del nostro Paese: per risolvere questo problema, infatti, è finanche scontato dire che non c’è bisogno di nuove carceri, né di indulti o amnistie, ciò che occorre oggi è abrogare la legge Fini-Giovanardi.

Per queste ragioni, pur essendo estremamente complicato dover parlare di sostanze stupefacenti, perché la sola parola evoca nell’immaginario comune scenari di disagio sociale, malessere fisico e drammi umani legati ad un uso smodato ed irresponsabile, occorre non lasciare che il pregiudizio, il timore ed il sospetto prendano il sopravvento, ma considerare attentamente che la maggior parte dei risvolti sociali più gravi e deleteri sono stati causati proprio da una legislazione del completamente inadeguata, che va modificata senza alcuna dubbio e nessuna esitazione.

Pertanto, il presupposto da cui occorre partire, per comprendere le motivazioni alla base di questa iniziativa referendaria e poterne eventualmente condividere gli obbiettivi, è quello di tenere ben a mente che l’uso personale di stupefacenti in Italia è già punito severamente, con precise sanzioni amministrative (anche piuttosto severe) e l’obbligo di sottoporsi – qualora il caso lo richieda – a determinati programmi riabilitativi e di recupero e che, perciò, non stiamo parlando di legittimarne l’assunzione incontrollata di droghe, né tantomeno di facilitarne la distribuzione sul territorio.

L’obbiettivo del nostro referendum abrogativo, infatti, è semplicemente quello di ristabilire un trattamento normativo equo e commisurato alla violazione commessa, cioè tale da tener conto di quella naturale distinzione che dovrebbe esser fatta tra i semplici consumatori di sostanze stupefacenti e gli spacciatori di professione, ma che oggi non viene assolutamente considerata, con tutte le conseguenze che abbiamo appena descritto. Perseguire con ogni mezzo chi fa uso di sostanze stupefacenti, arrestare, processare e condannare i comuni cittadini, invece di concentrare le risorse a disposizione per debellare le grosse organizzazioni criminali è un modo come un altro per costringere i consumatori ad una condizione di avvilente illegalità, da cui certamente non trae beneficio nessuno, se non quelle poche persone a cui è stato delegato il traffico illecito di stupefacenti e la gestione privatizzata degli istituti penitenziari.

La necessità di una completa inversione di rotta, rispetto alla situazione attuale, si traduce dunque nella volontà da parte nostra di attuare una serie di modifiche alla legge Fini-Giovanardi (le uniche possibili per via referendaria) finalizzate a ridurre il carico penale e le limitazioni della libertà personale di chi fa uso di sostanze stupefacenti, qualora sia evidente l’assoluta estraneità a qualsiasi attività finalizzata allo spaccio.

Cosa proponiamo

  1. Niente reato penale in caso di detenzione personale:

    Derubricazione del reato penale introdotto dalla legge Fini-Giovanardi per la semplice detenzione di stupefacenti, affinché il solo possesso, anche di quantità poco superiori ai limiti tabellari, venga riclassificato come un illecito amministrativo qualora sia possibile dimostrare, in assenza della violazione di fattori normativi certi, l’assoluta estraneità dell’imputato a qualsiasi attività finalizzata alla produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope.

  2. Niente carcere in caso di attenuante per fatti di “lieve” entità:

    Abrogazione della pena detentiva da 1 a 6 anni qualora il giudice ritenga opportuno applicare, alla violazione dell’art. 73 della normativa antidroga, l’attenuante per “fatti di lieve entità”, cioè quando, come nel caso di piccole coltivazioni domestiche di Cannabis per uso personale, le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, nonché la condotta stessa dell’imputato, consentano di giudicare il reato come scarsamente offensivo

  3. Niente misure cautelare coercitive in caso di illeciti amministrativi:

    Abrogazione delle sanzioni amministrative che limitano la libertà personale e che, di fatto, costituiscono “misure cautelari coercitive” analoghe a quelle previste in caso di reati penali: obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata; divieto di frequentare determinati locali pubblici; divieto di allontanarsi dal comune di residenza; obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente.

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