Associazione FreeWeed Board presenta:
Proposta di Legge a favore della depenalizzazione e della regolamentazione della coltivazione e del possesso di Cannabis per l’esclusivo consumo personale e/o di “gruppi di persone costituiti in forma libera per l’attività di coltivazione associata” senza scopo di lucro (Cannabis Social Club).
Premessa
Atteso il fermento che si sta manifestando attorno a non meglio precisate ipotesi di modifica dell’attuale legislazione in materia di stupefacenti, le quali, a quanto sin letto, hanno comportato la formulazione di progetti normativi, piuttosto sorprendenti, alcuni dei quali, che, addirittura, paiono privi di fondatezza e coerenza giuridica (basti pensare alla circostanza che taluno – incredibilmente – intende legalizzare la cessione di “piccoli quantitativi” di stupefacente), ho ritenuto di potere fornire un modesto contributo, riprendendo una mia proposta normativa, che avevo inviato – su sollecitazione rivoltami – a qualche esponente politico e della società civile a suo tempo, senza, peraltro, ricevere riscontro di sorta.
Poiché si tratta di una bozza del 2010, ho inteso apportare alcuni ulteriori cambiamenti, per renderla maggiormente attuale.
Non ho la presunzione di avere trovata la quadratura di un cerchio, che spesso pare un’ellisse, tanto è difficile la sua conformazione, né di avere trovato chissà quali soluzioni; spero solo di avere predisposto una base di discussione, i cui principi si dimostrino condivisibili e condivisi.
In calce agli articoli più importanti ho fornito una spiegazione delle modifiche e delle ragioni che sottendono alle stesse.
Ogni commento – anche di critica e, soprattutto di costruttivo dissenso, se educata – è ben accetto.
Carlo Alberto Zaina.
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(Autore: Avvocato Carlo Alberto Zaina | Fonte: www.freeweed.it/proposta-legge-zaina-stupefacenti)
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Proposta di modifiche normative volte al mutamento del trattamento sanzionatorio dei reati concernenti gli stupefacenti
Art. 1
L’art. 73 co. 1 dpr 309/90 è sostituito dal seguente:
(Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope)
- Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo, detiene per fini diversi dall’uso personale e/o di gruppo, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.
- Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, importa, esporta, acquista, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabelle I e III, che eccedono il quantitativo prescritto, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 12.000 a euro 48.000.
- Le condotte previste dai comma 1 e 2, quando abbiano ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV previste dall’art. 14, sono punite con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.800 a euro 18.000.
- Con le medesime pene di cui ai comma 1 e 3 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltivi piante idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope di qualunque tipo, che ove la coltivazione delle stesse superiori il numero di quattro e quando per specifiche modalità o tecniche di coltivazione, avuto riguardo al luogo dove detta attività venga svolta ed accertata, all’eventuale estensione dello stesso, al grado di maturazione e germinazione, ovvero per altre circostanze dell’azione, le piante appaiono destinate a fornire un prodotto destinato ad un uso non esclusivamente personale e/o di gruppo.
- Ai fini del giudizio di destinazione all’uso personale o di gruppo della sostanza stupefacente o coltivata, di cui al comma 4, possono rilevare i mezzi utilizzati, le modalità adottate, la tipologia di confezionamento, le condizioni personali e soggettive dell’agente, lo stato, la qualità e la quantità lorda delle piante e delle sostanze, nonché tutte le circostanze oggettive e soggettive che appaiano idonee al giudizio.
NOTA
Ho riportato, in primo luogo, la distinzione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere, ripristinando la ripartizione in quattro tabelle, così come originariamente previsto e, comunque, sino all’entrata in vigore della L. 49/2006, e successivamente alla sentenza n. 32 della corte costituzionale, soprattutto, differenziando nuovamente il trattamento sanzionatorio, a seconda del tipo di sostanza.
Viene, inoltre, confermata la previsione della non punibilità penale della detenzione ad uso personale e/o di gruppo, soprattutto in relazione a questa seconda ipotesi, ritengo sia opportuno conformarsi in maniera espressa alla recente decisione delle SSUU n. 25401/13.
La condotta coltivativa, per quanto di sua competenza, cessa di costituire un reato di pericolo (prima presunto, ora concreto), per venire inserita nella categoria dei reati di evento.
La punibilità del gesto coltivativo viene, ora a dipendere principalmente dall’esame del fine che esso persegue (un uso differente da quello personale), giungendo, così, la coltivazione ad essere collocata sullo stesso piano della detenzione ad uso personale (non punibile).
Va, infatti, evidenziato che, molto differentemente da quanto sostenuto dalla sentenza delle SSUU della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza dell’aprile 2008, la coltivazione non presenta affatto quel difetto di immediatezza nel rapporto fra coltivatore e prodotto, che, invece, non viene ravvisato nella detenzione e che costituirebbe l’elemento distintivo tra le due ipotesi.
L’iter coltivativo, infatti, appare una progressione temporale (dalla semina al raccolto del prodotto anche di una sola pianta) che si sviluppa sempre sotto il controllo dell’agente, che diviene da coltivatore, al momento del raccolto, detentore della derrata.
Ergo nessuna differenza tra detenzione e coltivazione può e deve essere ravvisata, considerando, poi, che la detenzione è condotta ontologicamente successiva alla coltivazione.
L’uso personale di sostanze stupefacenti diviene, pertanto, causa specifica di giustificazione, che scrimina la condotta e la priva di antigiuridicità e viene esteso anche alla coltivazione., sull’abbrivio di pronunzie giurisprudenziali in tal senso, che evidenziano l’assenza di un’offensività di carattere finalistico.
Ciò senza inversione dell’onere della prova.
Ho stabilito un’ ipotesi di non punibilità – al comma 4 – fissando un numero di piante (quattro) entro il quale la coltivazione non può essere assolutamente considerata reato, perché l’uso personale è presunto.
Per evitare che tale criterio potesse permettere aggirare il divieto di coltivazione ad uso differente da quello personale, ho, però, inteso precisare che, sempre vi sia una valutazione discrezionale del giudice, attraverso l’esame di specifici parametri, la non punibilità del soggetto, potendosi utilizzare i criteri principali che possono guidare il giudicante nella propria valutazione e prevedendo, inoltre, una clausola di chiusura omnicomprensiva “ tutte le circostanze oggettive e soggettive idonee al giudizio”, che ho richiamato con un comma ad hoc.
Rimane evidente che la condotta di coltivazione mantiene indubbi profili di illiceità, quando non venga dimostrato il fine scriminante richiamato.
In ogni caso canoni interpretativi utili per il giudicante, rimangono quei paradigmi, già individuati dalla giurisprudenza che consistono sia nel grado di maturazione e germinazione delle piante, sia nelle altre circostanze dell’azione.
Ho espressamente introdotto la esimente dell’uso di gruppo sia per la detenzione, che per la coltivazione.
Se per la prima condotta, si tratta di tradurre normativamente, quale presa d’atto la decisione delle SSUU 10.06.2013 n° 25401, per la coltivazione si tratta di una proposta che mira ad equipararla in toto con la detenzione, prevedendo, in pari tempo, la costituzione di associazioni che possano comprendere in luoghi determinati più coltivatori tra loro consorziati.
Ho, da ultimo ritenuto, che fosse necessario inserire un comma – il 5 – che individui i criteri che devono essere utilizzati per affermare la destinazione dello stupefacente all’uso personale.
Art. 2
I commi 5 e 5bis dell’articolo 73 del DPR 9/10/1990, n. 309, sono abrogati e sostituiti dall’articolo 73bis.
Art. 3
Dopo l’art. 73 del DPR 9/10/1990, n. 309 viene inserito l’articolo 73bis.
Art. 73bis
(Condotte e fatti illeciti di lieve entità)
- Chiunque coltiva, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o, comunque, illecitamente detiene per fini diversi dall’uso personale e/o di gruppo, sostanze stupefacenti o psicotrope indicate nella tabella I dell’art. 14, quando il fatto è di lieve entità, è punito, a titolo di reato autonomo, con la pena della reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da euro 1.200 ad euro 10.000.
- Le condotte previste dal comma 1, quando abbiano ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV previste dall’art. 14, sono punite con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da euro 600 a euro 6.000.
- Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al co. 1, sono di lieve entità le condotte ed i fatti, che, una volta valutati i mezzi utilizzati, le modalità adottate, le condizioni personali e soggettive dell’agente, le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e la quantità lorda delle sostanze, appaiano di limitata e circoscritta offensività.
- Con le medesime pene di cui ai comma 1 ed 2 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva piante idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, ovvero per specifiche modalità o tecniche di coltivazione, avuto riguardo al luogo dove detta attività venga svolta ed accertata, all’eventuale estensione dello stesso, al grado di maturazione e germinazione, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate a fornire un prodotto destinato ad un uso non esclusivamente personale e/o di gruppo.
NOTA
Ho da sempre sostenuto che l’ipotesi della lieve entità, concepita come circostanza attenuante, seppur ad effetto speciale, costituisse una grave errore prospettico, atteso che, così opinando, il legislatore, aveva compresso non poco l’istituto, esponendolo, al rischio di non applicazione, in virtù del necessario bilanciamento con altre circostanze aggravanti.
Seppur in maniera tardiva, intempestiva (per la concomitanza con la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale) e certamente farraginosa (è assurda la parificazione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere ed è ancora più risibile la giustificazione addotta che è un insulto alla logica) sia la L. 10/2014, che la L. 79/2014 hanno riconosciuto alla fattispecie la natura di reato autonomo.
E’ un risultato, comunque, importante, perché si deve ricordare in proposito che, sino all’intervento della Corte Costituzionale – con la nota sentenza 251 del 15 novembre 2012, che ha bocciato l’art. 69 cp – permaneva il divieto di far prevalere la circostanza della “lieve entità del fatto” di cui all’articolo 73, comma 5, del Testo Unico in materia di stupefacenti, sulla recidiva di cui all’articolo 99, quarto comma, del codice penale, con conseguenze, spesso, aberranti, di disapplicazione dell’istituto.
La eventuale contestazione all’imputato della recidiva ex art. 99 c.p., così come di qualsivoglia circostanza aggravante, tra quelle previste dall’art. 80 comma 1 dpr 309/90 – attesa la struttura di reato autonomo – non riverbera più effetti in relazione alla concreta configurabilità dell’ipotesi lieve.
Per le ragioni sopra esposte ho previsto un differente percorso sanzionatorio fra droghe pesanti e droghe legge, superando l’incongruenza tuttora vigente e di cui molti fanno finta di non accorgersi.
Per la cannabis, il comma 2 prevede sanzioni che per la loro quantificazione, impediscono qualsiasi forma di arresto (anche solo in forma facoltativa).
Art. 4
Dopo l’art. 73 bis del DPR 9/10/1990, n. 309 viene inserito l’articolo 73 ter.
Art. 73 ter
(Coltivazione in forma associata per uso personale)
- Non è punibile chi, pur privo dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva in forma associata piante di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, che appaiono destinate a fornire un prodotto destinato ad un uso esclusivamente personale e/o di gruppo, secondo i criteri indicati dal comma 4 dell’art. 73.
- E’ ammessa la costituzione di gruppi di persone costituiti in forma libera per l’attività di coltivazione associata al fine della produzione di sostanze destinate all’esclusivo consumo personale dei medesimi. La domanda di costituzione di un gruppo autorizzato deve essere presentata presso l’Ufficio Anagrafe del comune ove esso ha sede, che istituirà un apposito registro di iscrizione e deve essere sottoscritta dal legale rappresentante e da almeno 5 soci fondatori. Il numero di piante coltivabili da ciascun gruppo autorizzato, l’ammontare della tassa di concessione governativa annuale e tutti gli adempimenti organizzativi necessari e relativi verranno determinati con separata previsione regolamentare da emanarsi contestualmente alla presente norma. I gruppi non possono svolgere attività di lucro e non possono, comunque, avere oltre i 50 soci.
NOTA
Ho ritenuto necessaria una espressa previsione concernente quelli che taluno ha definito i CSC (Cannabis Social Club).
Al di là degli acronimi io mi sono permesso di chiamarli “gruppi di persone costituiti in forma libera per l’attività di coltivazione associata”.
Questa norma (più di altre), allo stato, è ancora in embrione e, comunque, presenta margini di modifica e perfezionamento, pur non dovendo venire stravolta, in quanto mi pare strategica per favore una coltivazione che assolva alla funzione di un uso di gruppo, dichiarato preliminarmente e controllato, evitando, quindi possibili, inquinamenti da parte di gruppi criminali e potentati economici.
Si vuole, in buona sostanza, favorire una coltivazione geneticamente orientata all’uso personale del singolo, o di gruppi circoscritti di persone, sottraendo potenziali acquirenti al mercato dello spaccio e delle organizzazioni che lo governano.
Art. 5
Dopo l’art. 73 ter del DPR 9/10/1990, n. 309 viene inserito l’articolo 73 quater.
Art. 73 quater
(Sostituzione della pena della reclusione e della multa di cui all’art. 73 bis)
- Il giudice, che pronunziando sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, in relazione alle condotte ed ai fatti previsti dall’art. 73 bis, non ritenga per qualsiasi motivo, anche soggettivo, concedibile all’imputato, il beneficio della sospensione condizionale della pena di cui all’art. 165 c.p., può sostituire le pene della reclusione e della multa con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste.
- La sostituzione di cui al co. 1 può essere disposta, solo nei confronti di persona che dimostri il proprio stato di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, a seguito di istanza formulata con le conclusioni finali o contenuta nella richiesta di applicazione penale, dall’imputato, oppure dal suo difensore, munito di procura speciale, sentito il pubblico ministero.
- Con la sentenza il giudice incarica l’Ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’Ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse.
- In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che ha effetto sospensivo.
- Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.
NOTA
Ho ritenuto di usare il termine sostituzione, perché il giudice deve – prima di ogni altra valutazione – considerare la pena, sia detentiva, che pecuniaria, che effettivamente egli ritiene di infliggere nel fattispecie (anche perché in ipotesi di violazione delle prescrizioni essa dovrà venire poi eseguita concretamente).
Il termine ultimo per la richiesta di sostituzione deve essere quello della discussione finale- se la sentenza venga emessa a seguito di dibattimento o giudizio abbreviato – oppure quello della richiesta di patteggiamento ex art. 444 c.p.p..
E’ necessario circoscrivere il beneficio – che sopperisce alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, sia a seguito di valutazioni discrezionali del giudice, che a seguito di oggettiva impossibilità dell’imputato che ne abbia già precedentemente fruito – ai soli soggetti tossicodipendenti od assuntori, che forniscono la prova concreta di tale loro condizione, per evitare che con un’applicazione indiscriminata, il valore di eccezione alternativa alla pena venga vanificato.
La misura alternativa sarà di pari durata rispetto alla pena originaria e sostituita.
Ho previsto che il ricorso in Cassazione contro il provvedimento di revoca della misura per violazione degli obblighi o altra ragione abbia, diversamente da quanto previsto attualmente, abbia effetto sospensivo.
Art. 6
Il comma 6 dell’art. 73 è sostituito dal seguente:
“Se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal 73 bis dpr 309790, si applicano il primo e il secondo comma dell’articolo 416 del codice penale”.
NOTA
Si tratta di un adeguamento necessario.
Art. 7
Gli art. 75 e 75 bis del dpr 309/90 sono abrogati.
NOTA
Credo che il sistema di sanzioni amministrative abbia fallito i propri obbiettivi.
Si tratta di norme non solo demagogicamente paternalistiche e farraginose, ma si tratta di previsioni legislative, del tutto prive di qualsiasi forza deterrente nei confronti del consumatore, in presenza di condotte che non rientrano nei canoni di reato.
Dunque procedure inutili, spesso gestite stancamente da organi prefettizi, che intervengono – talora – a distanza di anni dal momento di verificazione del fatto, manifestando, in questo modo, assenza di attendibilità ed efficacia.
Anche il complesso previsto dall’art. 75 bis non pare meritevole di conferma, in quanto appare informato esclusivamente ad un carattere di retribuzione rispetto a comportamenti, che, limitandosi ad esaurirsi in sfere del tutto personali (detenzione ad uso personale e consumo di stupefacenti) invece, non dovrebbero essere affrontati con il piglio della sanzionabilità, neppure di natura amministrativa.
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PER MAGGIORI INFORMAZIONI, CONSULTA IL SEGUENTE APPROFONDIMENTO:
Avvocato Zaina: perchè propongo di abrogare gli ARTT. 75 e 75 BIS del DPR 309/90 – Punire amministrativamente l’uso personale è una scelta puramente etica.
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Art. 8
L’art. 89 del DPR 9/10/1990, n. 309 è sostituito dal seguente:
Provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici
- Nei confronti di persona indagata od imputata, che risulti tossicodipendente o alcoldipendente, la quale abbia già in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza a tali persone ovvero nell’ambito di una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116, l’unica misura applicabile deve essere quella degli arresti domiciliari o, comunque, altra misura cautelare che appaia compatibile con la corretta esecuzione del programma.
- Se una persona tossicodipendente o alcoldipendente, in custodia cautelare in carcere, intende sottoporsi ad un programma di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza a tali persone ovvero in una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116, il giudice revoca su istanza dell’interessato o del suo difensore, la misura della custodia cautelare in carcere e, la, sostituisce con quella degli arresti domiciliari o con altra misura cautelare compatibile con la corretta esecuzione del programma. All’istanza è allegata certificazione, rilasciata da un servizio pubblico per le tossicodipendenze o da una struttura privata accreditata per l’attività di diagnosi prevista dal comma 2, lettera d), dell’articolo 116, attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcool-dipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, nonché la dichiarazione di disponibilità all’accoglimento rilasciata dalla struttura. Il servizio pubblico è comunque tenuto ad accogliere la richiesta dell’interessato di sottoporsi a programma terapeutico.
- La disposizione di cui ai commi 1 e 2 non si applica quando si proceda per i uno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ad eccezione di quelli di cui agli articoli 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale purché non siano ravvisabili elementi di collegamento con la criminalità organizzata od eversiva e dell’art. 73 anche se aggravato ai sensi dell’art. 80 dpr 309/90, nel caso non siano ravvisate effettivamente esigenze cautelari di carattere eccezionale.
- Quando si procede per i delitti di cui agli articoli 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale, dell’art. 73 anche se aggravato ai sensi dell’art. 80 dpr 309/90, e, comunque, nel caso in cui sussistano esigenze cautelari specificamente individuate dal giudice che procede, il provvedimento di cui al comma 1 è subordinato alla prosecuzione del programma terapeutico in una struttura residenziale, mentre nell’ipotesi prevista dal comma 2, l’accoglimento dell’istanza all’individuazione di una struttura residenziale. Con lo stesso provvedimento, o con altro successivo, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il tossicodipendente o l’alcoldipendente prosegua o dia corso, in modo corretto, al programma di recupero ed indica, se necessario, gli orari ed i giorni nei quali lo stesso può assentarsi per l’attuazione del programma.
- Il giudice dispone la custodia cautelare in carcere o ne dispone il ripristino quando accerta che la persona ha interrotto l’esecuzione del programma, ovvero mantiene un comportamento incompatibile con la corretta esecuzione, o quando accerta che la persona non ha collaborato alla definizione del programma o ne ha rifiutato l’esecuzione.
- Nei confronti delle persone di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni previste dall’articolo 96, comma 6.
- Il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio-riabilitativo è tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma. Qualora tali violazioni integrino un reato, in caso di omissione, l’autorità giudiziaria ne dà comunicazione alle autorità competenti per la sospensione o revoca dell’autorizzazione di cui all’articolo 116 e dell’accreditamento di cui all’articolo 117, ferma restando l’adozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso la struttura
NOTA
Ho ritenuto di dovere riscrivere l’art. 89 per dare alla norma una veste di assoluta precisione.
In primo luogo ritengo, che se si vuole evitare che il tossicodipendente sia sottoposto alla misura del carcere, che accresce il suo disagio, si deve escludere tassativamente la applicabilità di tale misura estrema e stabilire che la regola generale è quella degli arresti domiciliari.
Mantenere la possibilità della detenzione carceraria – nell’esclusivo caso di esigenze cautelari eccezionali – significa imporre alla magistratura di non potere aggirare il divieto di applicare la custodia in carcere, dovendosi motivare esaurientemente il carattere di “eccezionalità”, in uniformità all’indirizzo giurisprudenziale vigente, che ha focalizzato come tale requisito, pur attenendo alle categorie previste dall’art. 274 co. 1 c.p.p., non possa, però, in alcun modo venire confuso con le esigenze cautelari ordinarie.
L’impostazione di cui al co. 1, viene ripresa, in coerenza ed armonizzazione anche al co. 2, che, dunque, non merita particolari spiegazioni, essendo perfettamente allineato all’indirizzo sopra indicato.
Al co. 3 (che sostituisce in concreto il precedente comma 4) ho introdotto una deroga ulteriore al regime che vieta l’applicazione dell’istituto in questione.
Oltre che nei casi previsti dagli articoli 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, ho ritenuto che si possa permettere l’accesso anche a chi sia indagato/imputato in relazione all’art. 73 anche se aggravato ai sensi dell’art. 80 dpr 309/90, salvo che nel caso in cui siano ravvisate effettivamente esigenze cautelari di carattere eccezionale.
La mia esperienza professionale mi ha permesso di verificare che nella maggior parte dei casi i meri trasportatori, importatori, esportatori od anche detentori/custodi di quantitativi di stupefacente, rientranti nel concetto di ingente quantità, in realtà, non sono i pericolosi trafficanti che si trovano al vertice di organizzazioni criminali, quanto piuttosto disperati tossicodipendenti, che vengono reclutati, trasferendo su di loro l’elevato rischio di condanna ed, ovviamente, di arresto, a fronte di compensi in danaro od in natura veramente risibili.
Per lo più, quindi, disgraziati, schiavi della tossicodipendenza, che assumono un ruolo assolutamente di base nella piramide criminosa, e privo di aspetto di infungibilità, per un tornaconto minimo.
Ai co. 5, 6 e 7 ho ribadito previsioni preesistenti che reputo meritevoli di conferma.
Al co. 4 ho specificato, spero in meglio, le modalità di esecuzione delle due ipotesi, in presenza di due reati – rapina ed estorsione – che pur risultando particolarmente gravi, mi paiono, peraltro, da non escludere dal novero di quelli rispetto ai quali l’opzione va applicata, perché espressione, purtroppo, nella comune e quotidiana esperienza di situazioni di tossicodipendenza. Gli stessi sono stati accomunati alla previsione dell’art. 73 aggravato ex art. 80 comma 2° dpr 309/90.
Art. 9
Dopo l’art. 89 dpr 309/90 viene inserito l’art. 89 bis Costituzione di sezioni distaccate dei servizi pubblici per le dipendenze presso i tribunali)
- Presso ogni tribunale, sono costituite sezioni distaccate dei servizi pubblici per le dipendenze, che devono venire dotate di apposite strutture operative. Tali sezioni hanno il compito di segnalare, su richiesta degli interessati o di ufficio, nei casi di cui al comma 1 dell’art. 89, al giudice procedente lo svolgimento del programma terapeutico in corso o, nei casi di cui al comma 2 dell’art. 89, si rendono disponibili con urgenza, su richiesta degli interessati o di ufficio, per la definizione del programma stesso e lo trasmettono, senza ritardo, al giudice competente per le determinazioni relative.
- Nei casi di cui al comma 2 dell’art. 89, i servizi pubblici per le dipendenze operanti in carcere, operano, all’atto dell’ingresso nell’istituto carcerario in esecuzione della misura della custodia cautelare, la presa in carico delle persone tossicodipendenti o alcooldipendenti e segnalano immediatamente i singoli casi alla sezione costituita presso il tribunale competente.
- Nei casi di cui al comma 2 dell’art. 89, la misura della custodia cautelare in carcere prosegue fino all’adozione dei provvedimenti del giudice previsti dal medesimo comma.
- Nei casi in cui sia richiesto l’inserimento in una struttura residenziale, i servizi pubblici la individuano, esprimendo anche il loro parere sulla opportunità e la idoneità di tale inserimento.
NOTA
Ho ritenuto di dover separare la norma strettamente relativa all’individuazione delle misure, da quella più di carattere regolamentare ed organizzativo che istituisce gli organi di supporto dei servizi pubblici per le dipendenze presso i Tribunali.
Art. 10
L’art. 94 del DPR 9 ottobre 1990 n. 309 è modificato nel modo seguente:
- Al comma 4 le parole “Il tribunale accoglie l’istanza se ritiene che il programma di recupero, anche attraverso le altre prescrizioni di cui al all’articolo 47, comma 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, contribuisce al recupero del condannato ed assicura la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati” sono abrogate.
- Il comma 5 è abrogato.
- Il comma 6ter è abrogato. I commi 6 e 6bis assumono i numeri di 5 e 5bis.
NOTA
Il giudizio approfondito del Tribunale mi pare giusto.
Art. 11
Il co. 5 dell’art. 656 c.p.p. è così modificato:
Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a quattro anni o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dal co. 7 ne sospende l’esecuzione. La previsione di cui al comma 9 lettera c) non si applica nei casi di cui agli articoli 90 e 94 dpr 309/90. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l’esecuzione della pena avrà corso immediato.
NOTA
Ho introdotto una previsione che impedisca la carcerazione di coloro che abbiano in corso un programma per raccordarlo con l’art. 4 comma 2 dl 272/2005 che esclude tassativamente l’applicazione del comma 9 lett. c) alle persone che abbiano in corso un programma terapeutico.
Art. 12
La lettera a) del comma 9 dell’art. 656 del codice di procedura è così sostituita:
La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall’articolo 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11-bis, del medesimo codice. E’ fatta eccezione per coloro che, anche se condannati per violazione degli artt. 73 (quest’ultimo nell’ipotesi aggravata ai sensi dell’art. 80) e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si trovino agli arresti domiciliari, disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, in relazione al proprio stato di tossicodipendenti.
NOTA
L’esperienza professionale mi ha portato a scontrarmi con l’irragionevolezza di una norma [l’art. 656 comma 9 lett. a)] che, volendo escludere dalla platea dei beneficiari del beneficio della sospensione dell’esecuzione della pena, gli autori od i partecipi di reati di spiccata gravità, non tiene conto, però – con riguardo alle violazioni degli artt. 73 (aggravato dall’ingente quantità) e 74 (associazione per delinquere) dpr 309/90, che il condannato possa essere effettivamente un tossicodipendente, che nell’economia e dinamica della vicenda può avere rivestito un ruolo marginale, se non addirittura essere stato costretto ad essere concorrente nel reato.
Non dobbiamo, infatti, pensare che la figura del trasportatore, del detentore, del corriere che importa o si presta a trasferire sostanze stupefacenti coincida necessariamente con quella del grosso trafficante.
Anzi, le cronache giudiziarie ci dimostrano che una rilevante percentuale di coloro che si prestano a queste condotte, o di coloro che vengano risucchiati nel gorgo dell’associazione criminosa di cui all’art. 74, sono, in realtà, in una posizione di base, che si pone all’esatto contrario dei soggetti di vertice che gestiscono – di regola – le grosse partite di droga.
Mi è recentemente capitato di dovere prendere atto che una persona condannata ad una pena oggettivamente modesta per la violazione dell’art. 73 aggravato ex art. 80/2° (ingente quantità), che si trovava già in stato di arresti domiciliari ai sensi dell’art. 89 dpr 309/90 e che stava seguendo proficuamente un programma terapeutico lavorativo, sia stato ricondotto in carcere, risultando ostativo alla prosecuzione della misura attenuata, il riconoscimento dell’aggravante dell’ingente quantità.
I danni sofferti dal giovane (che ha dovuto attendere oltre tre mesi per la fissazione dell’udienza in Sorveglianza e l’ammissione al regime dell’affidamento di cui all’art. 94 ) sono stati enormi, con interruzione del programma terapeutico.
Del punto di vista del giudice prevale il timore della pericolosità implicita del soggetto (data dall’art. 80) rispetto alla conclamata necessità di risocializzazione del condannato.
Se, dunque, una persona che – pur condannata per i due citati reati – sia effettivamente tossicodipendente ed abbia dimostrato testualmente, già in sede di giudizio di cognizione, questa propria condizione personale, ottenendo l’ammissione al regime governato dall’art. 89, pare logico e razionale che questo importante percorso terapeutico, non debba venire sacrificato sull’altare di generali ed indeterminati principi di tutela sociali, desunti presuntivamente dalla gravità dei reati, senza una prognosi personale ad hoc.
Non dimentichiamo che l’art. 89 è, a parere di chi scrive, una norma fondamentale nel sistema delle misure cautelari, perché è l’unica seria via di accesso per il recupero del tossicomane, che abbia delinquito a cagione della propria condizione personale.
Art. 13
Alla lettera c) del comma 9 dell’art. 656 del codice di procedura penale vengono aggiunte, alla conclusione del testo attuale, le seguenti parole: “con esclusione del caso in cui ricorra la possibilità, per l’interessato di richiedere la sospensione dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 90 dpr 309/90 o l’applicazione della misura alternativa alla detenzione di cui all’art. 94 dpr 309/90”.
Art. 14
Al quarto Comma dell’art. 99 del Codice Penale, dopo le parole: “Se il recidivo commette un altro delitto non colposo”, sono inserite le parole: “a meno che questo sia commesso in relazione al proprio stato di tossicodipendente”.
Art. 15
(Arresto obbligatorio in flagranza)
All’art. 380 comma 2 lett. h) del codice di procedura penale, le parole: “salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo” sono abrogate.
Art. 16
(Arresto facoltativo in flagranza)
All’art. 381 del codice di procedura penale è inserito il comma 4 ter: “Non è consentito l’arresto della persona che detenga sostanze stupefacenti psicotrope per uso personale e/o di gruppo, oppure coltivi piante idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope di qualunque tipo, ove emergano elementi che rendono evidente che tale condotta sia finalizzata all’uso personale e/o di gruppo”.
***
Credo che sia le forze dell’ordine, che i PM siano in grado immediatamente di comprendere, in assenza di elementi sintomatici o di prova di un’attività di spaccio, se la persona che detiene o coltiva abbia destinato in tutto od in parte lo stupefacente a terzi.
E’ bene evitare qualsiasi rischio di privazione ingiusta della libertà personale.
Rimini, lì 5 settembre 2014
Avvocato Carlo Alberto Zaina
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L’Avvocato Carlo Alberto Zaina è Nato a Rimini nel 1956, patrocinante in Cassazione e Magistrature Superiori, laureato a Bologna nel 1980, iscritto al foro di Rimini, dallo stesso anno, esercita la libera professione, con studio in Rimini Via Flaminia 171/b.
Svolge attività professionale coprendo tutto il territorio nazionale e si interessa esclusivamente di questioni penali, sia criminali che societarie, con particolare attenzione ai profili attinenti alla legge sugli stupefacenti, ed a problematiche concernenti tutti i reati associativi e quelle connesse al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione.
Si tratta di tematiche che hanno formato oggetto negli anni di plurimi interventi e pubblicazioni sia su riviste telematiche, che di note di richiamo su testi cartacei.
Ha, infatti, pubblicato, con Maggioli Editore La nuova disciplina penale degli stupefacenti, ed ha in preparazione una serie di volumi, il primo dei quali concernerà la nuova legittima difesa.
E’ stato tra i membri fondatori nel 1987 della Camera Penale della Romagna ed ha, altresì, partecipato alla costituzione nel 2005 della Camera Penale di Rimini.
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