Il Tar del Lazio sospende il decreto Schillaci: vinto il primo round contro il governo

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Il Tar del Lazio ha emesso un’importante sentenza sospendendo il decreto firmato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, che classificava i prodotti a base di olio di cannabidiolo (CBD) tra le sostanze stupefacenti, vietandone la vendita al di fuori delle farmacie e solo con ricetta medica non ripetibile. Questa decisione rappresenta una significativa vittoria per i produttori e i distributori di CBD, un settore in crescita legato alla cannabis light, che si trova al centro di un acceso dibattito politico e giuridico.

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Il decreto e il ricorso dei produttori

Il provvedimento del governo, firmato dal ministro Schillaci, intendeva regolamentare in maniera più rigida il mercato del cannabidiolo, vietandone la vendita in negozi, erboristerie e tabaccherie e limitandola esclusivamente alle farmacie, con la prescrizione di un medico. L’olio di CBD, che non contiene THC (tetraidrocannabinolo), la sostanza psicoattiva della cannabis, è un prodotto utilizzato ampiamente per il trattamento di diverse patologie, tra cui ansia, infiammazioni e dolore cronico. Tuttavia, il decreto lo ha incluso tra le sostanze stupefacenti, equiparandolo di fatto a droghe illegali.

Il ricorso al Tar è stato presentato da tre società produttrici, affiliate all’Ici (Imprenditori Canapa Indiana) e all’associazione Canapa Sativa Italia, con il supporto di Coldiretti Liguria. Gli imprenditori hanno contestato il provvedimento sostenendo che il CBD non ha effetti psicotropi e non causa dipendenza, e quindi non dovrebbe essere soggetto alla stessa regolamentazione delle droghe. A loro sostegno, il direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università La Sapienza di Roma, Costantino Ciallella, ha presentato una relazione tecnica in cui si afferma che il CBD non possiede le caratteristiche per essere incluso tra le sostanze stupefacenti.

Le motivazioni del Tar: la salvaguardia di un’intera filiera produttiva

Il tribunale amministrativo ha accolto le ragioni dei produttori, sottolineando la “peculiarità della vicenda” e gli “impatti sull’intera filiera” che va dalla coltivazione alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla cannabis. Il Tar ha evidenziato che una regolamentazione così severa potrebbe avere conseguenze disastrose su un settore che opera nel rispetto della legalità e che rappresenta una significativa opportunità economica, in particolare per le aree rurali e le piccole e medie imprese agricole.

La sentenza ha inoltre sospeso il decreto per evitare che i produttori potessero incorrere in responsabilità penali e ha rinviato la discussione sul merito della questione a un’udienza fissata per il 16 dicembre. Il tribunale ha così aperto una finestra di tempo necessaria per una riorganizzazione normativa del settore e per una revisione del provvedimento.

Un settore in crescita sotto attacco

Il settore del CBD ha visto una rapida espansione negli ultimi anni, sia a livello nazionale che internazionale, grazie alla crescente domanda di prodotti naturali per il benessere e la salute. L’Italia ha giocato un ruolo importante in questo contesto, sviluppando una filiera agroindustriale della canapa che ha offerto nuove opportunità economiche, soprattutto nelle zone rurali. Coldiretti Liguria ha evidenziato che questo settore è stato costruito su solidi principi di legalità e sicurezza e ha rappresentato una risorsa per migliaia di agricoltori e imprenditori.

Il decreto Schillaci, tuttavia, avrebbe potuto colpire duramente questa filiera, limitando l’accesso al mercato del CBD e imponendo una regolamentazione più severa rispetto al passato. La sospensione del decreto da parte del Tar del Lazio, quindi, è stata accolta con sollievo dagli operatori del settore, che sperano in una revisione del provvedimento da parte delle autorità competenti.

Il precedente del 2020 e la necessità di un quadro normativo chiaro

La vicenda del decreto Schillaci non è isolata. Già nel 2020, sotto la guida del ministro della Salute Roberto Speranza, un decreto simile aveva inserito le composizioni orali a base di cannabidiolo nella lista dei medicinali stupefacenti. Tuttavia, quel provvedimento fu successivamente sospeso, con il ministero che chiese all’Istituto Superiore di Sanità e al Consiglio Superiore di Sanità di aggiornare le tabelle degli stupefacenti e di valutare se il CBD potesse essere considerato pericoloso indipendentemente dalla sua concentrazione.

La mancanza di un quadro normativo chiaro e stabile ha creato un contesto di incertezza per gli imprenditori del settore della canapa, che si sono trovati a fronteggiare continui cambiamenti legislativi. La sentenza del Tar evidenzia l’urgenza di una regolamentazione chiara che possa tutelare sia la salute pubblica che le legittime attività economiche legate al CBD.

L’ordinanza del Tar e il contesto politico

L’ordinanza del Tar arriva in un momento delicato, proprio mentre in Parlamento si discute il ddl sicurezza, che contiene al suo interno l’articolo 18, una misura presentata dalla Lega che vieta la produzione e la commercializzazione di infiorescenze, resine e oli di canapa anche se privi di THC. Secondo i proponenti, questi prodotti altererebbero lo stato psicofisico degli assuntori, mettendo a rischio la sicurezza pubblica e la sicurezza stradale.

Il dibattito politico sulla cannabis light e sul CBD è quindi in pieno fermento, con visioni contrapposte tra chi considera queste sostanze pericolose e chi, invece, ne evidenzia i benefici terapeutici e il potenziale economico.

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