Il consumo di Cannabis non danneggia il Quoziente Intellettivo

Uno studio del 2012 della Duke University ha destato scalpore a livello internazionale quando ha fatto intendere di aver trovato un nesso tra l’alto consumo di marijuana e l’abbassamento del QI tra gli adolescenti. Tuttavia, altre ricerche hanno immediatamente messo in discussione questi dati: Carl Hart della Colombia University ha notato il numero ristretto di forti consumatori presi in esame per questo studio (38), il che lo ha portato a riflettere su quanto fossero generalizzabili quei risultati.

Successivamente, uno studio pubblicato 6 mesi dopo sullo stesso giornale, ha rivelato l’erroneità dello studio di Duke a causa di diversi fattori contraddittori: “Anche se potrebbe essere un po’ esagerato dire che i risultati sono stati screditati, la strategia usata non è perfetta e le conclusioni tratte dai risultati sono premature” conclude l’articolo.

Ora, un nuovo studio portato avanti dalla University College of London ci fornisce una prova ancora più evidente dell’incertezza dei dati di Duke. Lo studio si estende ad una fascia di adolescenti molto più ampia di quella precedentemente esaminata da Duke: 2012 bambini nati nell’area di Bristol del Regno Unito nel 1991 e nel 1992. I ricercatori hanno esaminato i risultati del QI dei bambini all’età di 8 anni e una seconda volta all’età di 15 anni, e non hanno trovato nessuna correlazione tra l’uso di cannabis e un QI più basso raggiunti i 15 anni. Il tutto prendendo in considerazione altri possibili fattori come il consumo di alcool e di sigarette, l’educazione materna ecc…
Anche un consumo di marijuana più consistente non è associabile al QI.

“In particolare è il consumo di alcool che è fortemente collegato all’abbassamento del QI” scrivono gli autori. “Nessun altro fattore è responsabile del cambiamento del nostro quoziente intellettivo”.

Tuttavia lo studio inglese ha notato una piccola disparità tra le abilità educative dei consumatori più assidui di marijuana. Infatti questo gruppo di studenti ha ottenuto più o meno il 3% in meno negli esami scolastici sostenuti all’età di 16 anni, anche dopo aver sistemato gli altri fattori sopraelencati.

In un comunicato stampa che accompagnava lo studio, l’autore principale Claire Mokrysz ha notato che “questo è un messaggio di salute pubblica molto importante. Credere che la cannabis sia particolarmente nociva potrebbe distogliere l’attenzione da altri comportamenti potenzialmente dannosi.” Il critico Guy Good della Oxford University concorda: ” l’attuale attenzione sui presunti danni della cannabis sta mettendo da parte il fatto che il suo uso è spesso associato a quello di altre droghe disponibili sul mercato anche più liberamente, o di altri possibili aspetti del proprio stile di vita. Questi infatti possono essere tanto o più rilevanti della cannabis stessa”.

È questo dunque un punto chiave della situazione. Negli Stati Uniti molti scettici riguardo la legalizzazione della cannabis si focalizzano solo sui suoi potenziali effetti negativi. Ma il consumo di quest’ultima è solo uno dei tanti comportamenti che possono influenzare il proprio ciclo di vita. In molti casi sono proprio altre attitudini a giocare un ruolo determinante nel percorso di vita di una persona. Inoltre questo spiega in parte il perché accanto a un numero sempre crescente di leggi più permissive riguardo il consumo di marijuana negli ultimi dieci anni, non abbiamo riscontrato un correlato aumento di esiti negativi.

Ciò non toglie che è assolutamente ragionevole pensare che un forte consumo di marijuana, o di qualsiasi altra sostanza, durante l’adolescenza porti ad un più scarso rendimento scolastico. Infatti negli Stati che stanno legalizzando la cannabis, il Colorado e Washington per primi, è stato limitato l’uso legale di marijuana ai minori di 21 anni.

Eppure questo studio è solo il più recente di una serie crescente e consistente di fatti evidenti che ci suggeriscono che non ha molto senso concentrarsi solo sulla marijuana ed escludere tutti gli altri possibili fattori.

Traduzione di Giada Pastore

Fonte: Washington Post

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