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La canapa è una risorsa preziosa, capace di migliorare la qualità della terra in cui viene piantata. La sua coltura risulta generalmente poco impegnativa, ma occhio all’acqua e alle normative vigenti. Per diventare canapicoltore, bisogna rispettare alcune regole precise.

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Forse non tutti lo sanno, ma c’è stato un tempo in cui l’Italia era il secondo produttore al mondo di canapa. La pianta dalle foglie a 6 punte è, infatti, una risorsa preziosa e redditizia che, come scopriremo, può fare bene all’intero ecosistema. Perché dunque non prendere in considerazione l’idea di avviare una coltivazione di canapa, partendo dalle informazioni basilari che possono aiutare a comprendere quanto questo progetto sia attuabile nella propria zona? Con questo articolo, cercheremo (nel nostro piccolo) di darvi una mano.

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Partiamo col dire che la canapa può rappresentare un investimento importante non solo per chi sceglie di farne un business. Stando a quanto riferito da AssoCanapa (il Coordinamento nazionale per la canapicoltura in Italia), parliamo infatti di una risorsa che fornisce un aiuto efficace alla difesa dell’ambiente, contrasta l’inquinamento, difende la biodiversità e migliora la qualità dei terreni in cui viene piantata. Avviare una coltivazione di canapa può voler dire, dunque, migliorare la salute dell’ambiente che ci sta intorno scommettendo su un’agricoltura naturale e innovativa insieme. Che richiede però qualche accorgimento. E’ bene sapere, infatti, che la “crisi” della canapicoltura in Italia non è stata causata solo dall’avvento delle fibre sintetiche (che hanno sbaragliato nel mercato tessile), ma anche da una cattiva interpretazione della normativa anti-droga. E sì, perché la percentuale di THC presente nelle foglie della canapa ha spesso causato problemi.

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Come coltivare la canapa
A tale proposito, è di capitale importanza sapere che non ci si può improvvisare coltivatori di canapa. E che, anzi, occorre prendere delle precise contromisure. Per non avere problemi con la legge, bisogna infatti:

-seminare una varietà di canapa iscritta nel Catalogo Europeo delle sementi. (In tale catalogo vengono iscritte solo varietà che, seguendo la procedura regolamentata dall’Ue, contengono una quantità di THC inferiore allo 0,2%).

-avere la fattura di acquisto del seme e il cartellino che ne attesti la certificazione. (Il cartellino viene rilasciato dall’Istituto Pubblico incaricato dallo Stato in cui il seme è stato prodotto).

-dare comunicazione alla più vicina stazione delle Forze dell’ordine della propria attività

Fatte queste irrinunciabili premesse, entriamo nel vivo del discorso e cerchiamo di capire come si diventa canapicoltore in Italia.
-La prima cosa da decidere è che tipo di attività si vuole avviare: se si è cioè più interessati a coltivare canapa le cui fibre possono essere lavorate per la realizzazione di prodotti tessili, cosmetici ecc… O più propensi a concentrarsi sul seme che può essere utilizzato nel mercato alimentare. Fatta la propria scelta (avere le idee chiare è un presupposto irrinunciabile per qualsiasi imprenditore, soprattutto per quello “fai da te”), si potrà passare al lato più pratico partendo, ovviamente, dalla scelta del terreno. La pianta della canapa si adatta a quasi tutti i terreni, ma predilige quelli profondi, leggeri e di medio impasto. Per la semina (che avviene in primavera) occorre:

-preparare il terreno come per i cereali utilizzando una seminatrice da frumento

-disporre le piante a una distanza di 15/20 cm l’una dall’altra

Se seminate correttamente, le piante di canapa non necessitano di alcun trattamento diserbante e richiedono davvero poca manutenzione. Ma occhio all’acqua: il nemico numero uno della canapa è il ristagno che può causarne la morte (soprattutto nella fase iniziale). Per questo, quando ci si accinge ad avviare una coltivazione di canapa, è bene tenere in mente che si tratta della coltura industriale che resiste, più di tutte le altre, alla carenza di acqua. Fatta la semina, occorrerà aspettare il tempo della maturazione per procedere alla raccolta che avviene a fine agosto. Le piante falciate vengono lasciate nei campi a “macerare” per 30/40 giorni (ma a volte anche più a lungo) fin quando non appaiono completamente essiccate. A quel punto, se si è interessati a utilizzarne le fibre, si raggruppano in “steli di canapa” (o balle), mentre se si è interessati a utilizzarne il seme, questo viene raccolto e messo immediatamente ad essiccare a bassa temperatura.

Cosa si ottiene dalla canapa?

Della canapa non si butta via nulla. I fiori e le foglie (la cui percentuale di THC, lo ripetiamo, non può superare lo 0,2%) vengono utilizzati per la preparazione di birre e caramelle, mentre gli oli essenziali sono presenti in molti profumi messi in commercio. Ma anche la THC ha un suo uso farmaceutico e viene impiegata per la preparazione di medicinali che curano (tra le altre cose) gli spasmi e gli attacchi di asma. Per quanto riguarda il seme, invece, se ne fa solitamente un uso alimentare. Ma non solo: dalla spremitura del seme decorticato si ottiene un olio utilizzato per la realizzazione di cosmetici, detergenti per il corpo e detersivi, ma anche di lubrificanti e combustibili. E veniamo alle fibre: anticamente impiegate nella tessitura di vele per le imbarcazioni, esse permettono oggi di affacciarsi ai più diversi mercati. Le fibre di canapa sono infatti molto richieste dalle industrie tessili (che le utilizzano per realizzare prodotti di ogni tipo: dai capi di abbigliamento alle imbottiture per materassi), ma anche da quelle edili. E qualcuno faticherà a credere che alcune fibre della canapa vengono impiegate per la realizzazione di pannolini, pannelli isolanti, mangimi per ruminanti e lettiere per cavalli.

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