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« E canterò la canape, e la vera Cultura d’un sì nobile virgulto,
Che ne’ campi d’Italia, e piucchè altrove,
Nel felsineo terreno, e nel vicino Centese floridissimo recinto […]
S’alza e verdeggia, e selve forma ombrose,
Quando la stagion fervida comincia
A cuocer l’aria, e finché il Lion rugge
Nel ciel, dura a far ombra su la terra. »

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(Il Canapaio, Giacomo Barrufardi)

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La canapa è un prodotto che per secoli ha fatto parte della tradizione agricola italica, la cui coltura era praticata sopratutto in Piemonte, Emilia, Veneto e Campania. Fino agli anni 50 erano riconosciuti ben 5 varietà italiane: Carmagnola, Polesana, Ferrarese, Atellana e Nana Napoletana.

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La canapa è sempre stata una dei principali vegetali coltivati nell’intera regione indoeuropea, di grande importanza sia economica che strategica, perché serviva per fabbricare i più diffusi tessuti, i vestiti, le vele delle navi, le corde oltre ad avere proprietà curative e nutritive universalmente riconosciute.

Tutto ciò è testimoniato dal fatto che molte località geografiche siano state chiamate in onore di questa pianta (Canavese in Italia, Hempshire in Inghilterra, Bangladesh in Oriente sono solo alcuni esempi) che spesso compare anche nelle opere di grandi artisti e letterati del passato,in Italia le è stato dedicato persino un poema, Il Canapaio di Giacomo Barrufardi, mentre la città di Bologna le dedicò un affresco ancora visibile nella sua via principale.

Gli esemplari di canapa possono essere maschili, femminili o ibridi. I fiori delle piante femmine possiedono un’elevata concentrazione di THC, principio attivo con effetti stupefacenti che, se consumato con una certa regolarità, può produrre una forte assuefazione psicologica anche se, come sostiene la grande maggioranza degli studiosi, non comporta una vera e propria dipendenza fisica (al contrario di sostanze come alcol e sigarette).

La canapa femmina viene anche chiamata “marijuana”; nel nostro paese l’uso ricreativo, particolarmente diffuso soprattutto in campagna, collina e montagna, è stato socialmente accettato e legalmente tollerato per molto tempo, tant’è che, anche durante il periodo fascista, si potevano acquistare sigarette preconfezionate di marijuana presso le farmacie, mentre l’hashish, derivato dalla resina dei fiori delle piante femmine molto comune soprattutto nei paesi arabi, nel 1931 venne dichiarato illegale in quanto definito “droga da negri” e “nemico della razza”.

Le controversie cominciarono a metà degli anni ’30 quando vennero fatti esperimenti sull’uso energetico della canapa che, secondo diversi ricercatori, rappresentava un combustibile in grado di sostituire, almeno parzialmente, l’uso del petrolio. Le compagnie petrolifere non presero affatto bene questa notizia e, attraverso i loro uomini più influenti ( la famiglia Rockfeller su tutti), fecero fortissime pressioni sul governo americano Roosvelt affinchè proibisse questa sostanza, cosa che si concretizzò definitivamente nel 1942, e a trarne giovamento furono senza dubbio anche diversi marchi farmaceutici e le aziende produttrici di tessuti sintetici che si videro così togliere di mezzo un fastidioso concorrente.

Cominciò allora una vera e propria demonizzazione, anche a livello mediatico, della marijuana che presto venne messa fuori legge in quasi tutti i paesi del blocco occidentale, Italia compresa. Nonostante la coltivazione di canapa industriale non sia mai espressamente stata vietata nel nostro paese, la mala interpretazione delle leggi antidroga ha portato le forze dell’ordine ad arrestare e sequestrare le coltivazioni di chi negli anni ’70 aveva provato riprendere la coltivazione della canapa da fibra o da seme.

Se nel 1970 in Italia erano ancora coltivati circa 36.000 ha di canapa, l’anno successivo ne furono investiti 400 ha e nel giro di 10 anni scomparve completamente. La produzione riprese nel 1997 quando venne stilata una circolare del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, poi integrata della circolare n.1 del 8 maggio 2002, che autorizza la coltivazione di canapa utilizzando sementi registrate nell’Unione Europea che abbiano un contenuto massimo di THC certificato dello 0,2%.

Secondo il parere di diverse associazioni di agricoltori, per incentivare la crescita di quello che potrebbe tornare ad essere uno dei settori fondamentale della nostra economia, il limite percentuale di principio attivo dovrebbe essere aumentato. Sebbene lo Stato Italiano proibisca la coltivazione, la vendita e il consumo di marijuana, con leggi più o meno severe a seconda delle varie legislature, l’uso ricreativo è sempre stato molto diffuso a livello nazionale. Secondo i resoconti ufficiali di Polizia e Carabinieri l’importazione dall’estero, la produzione casalinga e la cessione di piccole e grandi quantità sono pratiche molto diffuse in tutta la penisola, tanto da poter considerare quello della marijuana un mercato solido, indipendente ed in continua espansione.

L’assemblea generale delle nazioni unite del 1998 si propose tra gli obbiettivi quello della eliminazione totale della marijuana entro il 2008, progettò che si rivelò fallimentare: le stime riguardanti la presenza di questa pianta nel mondo sono aumentate vertiginosamente in quel periodo. Negli ultimi anni negli USA c’è stata una netta inversione di tendenza e sembra proprio si vada verso la legalizzazione ( sia per utilizzo medico che ricreativo) e la normalizzazione della vendita e della produzione ( come già sperimentato in Colorado). Molti osservatori sostengono che, prima dell’entrata in vigore dei TTIP ( trattati di libero scambio tra USA e UE), probabilmente anche nel nostro paese questa sostanza verrà liberalizzata per esigenze di mercato.

Una soluzione interessante può essere senza dubbio quella adottata da un’altra grande potenza mondiale: dal 2010 la Russia ha depenalizzato la coltivazione privata, fino a un massimo di 20 piante, la detenzione e il trasporto fino a 6g di prodotto, mentre non sono ammessi il consumo in luoghi pubblici e la vendita in alcuna attività commerciale.

(di Dario Giovetti)

 

FONTE: Azione Culturale

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