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Autoproduzione cannabis terapeutica Genova

GENOVA.ERASUPERBA.IT: pubblichiamo in forma integrale le testimonianze (e le immagini) di tre cittadini genovesi, due persone che necessitano della cannabis per le cure mediche e un produttore che condivide senza scopo di lucro il suo raccolto con i malati. Vi forniamo un quadro che aiuta a comprendere l’arretratezza del nostro Paese su una tematica che va ben oltre il dibattito sul proibizionismo.

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Il tema dell’uso terapeutico della cannabis è stato approfondito in più di un’occasione su queste pagine. Durante l’ultima puntata di #EraOnTheRoad, siamo tornati sulla questione pubblicando senza censura la testimonianza di malati e produttori con l’intento di comprendere se il diritto di curarsi con la cannabis, riconosciuto dalla legge italiana almeno in teoria, sia di fatto inibito a chi ne dovrebbe poter fruire.

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Nonostante la voglia di rivendicare apertamente ed a gran voce il diritto di ottenere per sé le migliori terapie disponibili, le persone intervistate devono celare la propria identità dietro a pseudonimi; infatti gli alti costi della cannabis importata legalmente a scopi medici dall’Olanda costringono spesso i malati a pratiche al limite della legalità, e a volte oltre, come l’auto-produzione.

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La testimonianza di Alberto, produce cannabis per combattere la malattia.

Se l’alternativa è quella di andare dallo spacciatore, io mi sento più tranquillo così. Certamente però la legislazione non prevede la possibilità dell’autoproduzione, nemmeno per i malati, e credo che questo dovrebbe essere la prima cosa da fare

Autoproduzione cannabis terapeutica Genova
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Autoproduzione cannabis terapeutica Genova

«Ho 30 anni, sono un lavoratore precario – racconta Alberto – e tre anni fa mi hanno diagnosticato la sclerosi multipla; grazie all’utilizzo della canapa sono riuscito a combattere in maniera efficace la mia malattia. Tre anni fa ero in sedia a rotelle, a causa degli spasmi muscolari che mi causavano forti tremiti alle gambe. Ai tempi, tra l’altro la legge regionale non era ancora stata approvata; mi sono attivato subito per capire se la marjuana avrebbe potuto aiutarmi, come avevo letto da più parti. Attraverso degli amici mi sono procurato uno spinello con relativa facilità, come credo possa fare anche oggi chiunque ne abbia la necessità o solo la voglia. Già precedentemente alla diagnosi mi era capitato di fumare in maniera saltuaria, ma non immaginavo assolutamente quali potessero essere gli effetti della sostanza sulla patologia che adesso ho: nel giro di cinque minuti infatti la mia gamba aveva smesso del tutto di tremare, e non solo, anche i dolori muscolari erano molto migliorati. Nella mia condizione ti senti come se il muscolo lavorasse sempre, non riesci a rilassarlo, e ti sembra che i tessuti si strappino da dentro: una sensazione simile a quella che prova chi ha un muscolo sotto sforzo da tanto tempo. Questo tipo di dolori ha cominciato a sparire, con l’uso della marjuana, sostanzialmente senza effetti collaterali, salvo una gran fame».

Alberto mi parla poi delle note dolenti della situazione: infatti ha seri problemi economici che non gli consentono di curarsi come dovrebbe: «Ho approfondito molto le mie ricerche sui benefici che questa pianta produce per decine di malattie, studiando gli effetti dei numerosi principi attivi presenti nella cannabis, fino ad arrivare alla conclusione che avrei tranquillamente potuto coltivarla da me. Per il farmaco Bedrocan importato dall’Olanda (si tratta di cime di una varietà di cannabis appositamente selezionata sulla base dell’alta concentrazione di principi attivi) bisogna spendere circa quattordici euro al grammo, con tempi d’attesa di almeno tre mesi, ammesso che tu riesca a trovare un medico preparato in materia e disposto ad effettuare la prescrizione».

«Ottenere la prescrizione è stato difficile: in ospedale non sono riuscito a trovare un medico che mi prescrivesse il Bedrocan; venivo ignorato oppure mi si rispondeva di aspettare il Sativex che sarebbe uscito sul mercato a breve (si tratta di un prodotto sintetico, che dovrebbe essere utilizzato in sostituzione del Bedrocan, ndr). So che può sembrare assurdo, ma nessuno per ignoranza o per paura mi voleva prescrivere il farmaco che su di me aveva l’effetto migliore. Addirittura mi veniva somministrato un medicinale miorilassante che, oltre ad avere una scarsa efficacia, mi provocava incontinenza. Alla fine sono riuscito ad ottenere una prescrizione da un neurologo. Io ho una cosiddetta ricetta bianca, con la quale posso acquistare marjuana dalle farmacie completamente a mio carico, a fronte di una pensione di invalidità di duecentonovanta euro riconosciutami per la mia patologia. Tieni presente che consumo circa un grammo di cannabis al giorno, e quindi per me l’acquisto in farmacia è una soluzione impraticabile: non potevo, né posso tuttora, permettermelo. Ho anche provato dei preparati sostitutivi come lo spruzzino, che però per me, come per diverse altre persone con le quali ne ho parlato, si è rivelato poco efficace a combattere alcuni disturbi tra cui il dolore. Mi sono dunque chiesto come fare a procurarmi regolarmente la marijuana di cui necessito per stare meglio».

“La risposta- mi spiega Alberto- l’ho trovata quando ho scoperto che esistono delle aziende olandesi, inglesi, americane e spagnole che vendono semi di qualità e genetiche selezionate appositamente per alcune patologie. Allora ho acquistato per modica cifra questi semi, ed in breve ho ottenuto la mia prima piantina. Nel frattempo però mi rifornivo dal mercato clandestino, con tutti i problemi del caso, ed inoltre non ero tanto contento di regalare soldi alle mafie; poi anche il solo uscire di casa nelle mie precarie condizioni fisiche, per di più entrando a volte in contatto con certe realtà, non era proprio confortevole. Mi ritrovavo spesso per le mani cannabis di scarsa qualità, tagliata con sostanze dannose, come ho compreso soprattutto da quando ho consumato le inflorescenze coltivate ed essiccate da me: gli effetti benefici, rispetto a prima, erano ancora più sorprendenti. Ancora oggi vado avanti in questa maniera, perché è l’unica modo di non dare un mare di soldi a mani sbagliate, e di avere il meglio per me. Ormai poi ho anche individuato le diverse varietà che si associano meglio ai momenti ed ai disturbi di cui soffro, per cui in questo senso riesco completamente ad autogestirmi.”

Alberto mi spiega e mi fa vedere come consuma la sua medicina: «Il miglior modo di assunzione, che io sfrutto grazie ad un regalo che mi ha fatto un’amica, è quello della vaporizzazione della pianta: in questa maniera si assumono tutti i principi attivi del vegetale senza che si verifichi combustione, cosa che sprigionerebbe anche sostanze nocive. La vaporizzazione estrae dalla pianta tutti i principi attivi e gli oli essenziali che vengono quindi assunti per inalazione. Si tratta di una metodologia ottimale di consumo per i non fumatori, anche se il vaporizzatore ha un costo piuttosto elevato; per questo alcune farmacie addirittura li affittano. Il problema ora è quello di uscire un po’ allo scoperto per reclamare il diritto alla cura, perché nel frattempo i malati continuano a rifornirsi sul mercato nero; chi sta male non può aspettare la marjuana legale italiana per la quale saranno necessari anni. E poi, perché pagare caro qualcosa che quasi chiunque può prodursi da solo?».

Chiedo a questo punto ad Alberto se non tema le possibili conseguenze legali che derivano dalla sua attività di autoproduzione, e questa è la risposta: «Ma guarda, visto che io non spaccio, penso che se facessero un’indagine sul mio conto non dovrei avere molti problemi. Poi, se l’alternativa è quella di andare dallo spacciatore, io mi sento più tranquillo così. Certamente però la legislazione non prevede la possibilità dell’autoproduzione, nemmeno per i malati, e credo che questo dovrebbe essere la prima cosa da fare. Mi sembra un’ ingiustizia costringere gente che prende 290 euro di pensione di invalidità al mese ad arricchire le case farmaceutiche quando potrebbe prodursi il suo farmaco autonomamente. Poi, quando uno ha certe patologie invalidanti, non può nemmeno più fare certi lavori, infatti non è raro che i malati si trovino in ristrettezze economiche: magari la tua vita era scaricare camion, e ti trovi da un giorno all’altro a non poter più lavorare».

Chiedo dunque ad Alberto quali fossero i medicinali che in precedenza gli venivano somministrati: «Flebo da 1000 mg di cortisone, poi mi riempivano di oppiacei contro il dolore come il Toradol, per me assolutamente inefficace. Inoltre mi somministravano psicofarmaci per riuscire a farmi dormire: il cortisone è uno steroide e quindi ti agita, sudi, non è una bella sensazione. Con la cannabis, a parte il cortisone, ho eliminato tutto il resto, e non mi fiderei più ad usare Lexotan, Tavor o altri psicofarmaci: per me hanno effetti collaterali molto più pesanti della cannabis che mi produco con il solo ausilio della cacca di gallina. Molti malati vivono nella paura perché si curano grazie ad una pianta, è assurdo. Il Bedrocan non è altro che erba, molto forte e passata sotto ai raggi gamma per garantire la non contaminazione di funghi o muffe. In Italia per gran parte del mondo scientifico questa materia è un tabù, legato anche a notevoli interessi economici».

La testimonianza di Rosa: un calvario fra ospedali e farmacie

Ero ricoverata al San Martino e sulla cartella clinica era correttamente riportato che dovevo assumere cannabis tre volte al giorno, ma in tutto l’ospedale non c’era un vaporizzatore, né qualcuno che poteva farmi infusi. Gli infermieri arrivavano quindi tre volte al giorno e mi portavano sul terrazzo perché potessi farmi una canna, una cosa che per me nel 2014 è assurda

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Nel corso della nostra indagine, abbiamo incontrato Rosa, che ci ha raccontato la sua storia: «Ho cinquant’anni, e dall’età di un anno soffro di epilessia a seguito di un accesso di febbre, anche se i medici non sono mai riusciti esattamente ad identificarne la causa. Per gran parte della mia vita sono stata bombardata di medicinali, soprattutto benzodiazepine, con pesanti effetti collaterali come l’impossibilità di guidare, una costante sonnolenza ed enormi problemi sul lavoro, ad esempio non potevo fare alcuna attività notturna. Ho inoltre nel tempo sviluppato una farmaco-resistenza notevole ed una neuropatia. Al compimento del quarantesimo anno di età, a seguito di un lavoro di documentazione che ho portato avanti negli anni, ho deciso di provare a rivolgermi alle strutture sanitarie per provare qualche terapia alternativa a quelle che avevo in corso, ed in particolare di provare con la cannabis in via sperimentale. La risposta è stata di fermo rifiuto, ed allora, del tutto autonomamente, ho cominciato a scalare fino ad eliminare i vecchi farmaci e ad assumere regolarmente marijuana. Ho sperimentato da sola i dosaggi dei vari cannabinoidi, e il risultato è stato notevole: riesco con la cannabis ad evitare la maggior parte delle crisi che mi colpivano anche tre o quattro volte l’anno, e ho scoperto che per me l’ideale è un alto tasso di thc. Queste crisi sono eventi molto intensi e pericolosi, mi hanno causato nel corso della vita diverse fratture, e in un caso il coma: la canapa insomma ha migliorato nettamente la qualità della mia vita».

Rosa poi racconta come è arrivata ad importare legalmente il medicinale di cui ha bisogno, e dei problemi che ha dovuto e deve affrontare: «Successivamente sono entrata in contatto con una serie di movimenti per il diritto alla libertà di cura, con il mondo antiproibizionista, e ho quindi deciso di provare insieme al mio compagno, anche lui affetto da serie patologie, di giocare la carta dell’importazione tramite il servizio sanitario nazionale, mai sostenuta veramente dal reparto di neurologia. Grazie ad un provvedimento dell’allora ministro Livia Turco, e ad un medico che aveva capito la nostra situazione grazie alla documentazione che gli avevo sottoposto, sono riuscita ad iniziare l’avventura dell’importazione del Bedrocan dall’Olanda. I costi sono elevatissimi, fra me ed il mio compagno arriviamo a spendere 1200 euro ogni due o tre mesi. L’ultima importazione che dovevo effettuare infatti non me la sono più potuta permettere, semplicemente non ho più il denaro per pagare, ho anche diversi debiti contratti per pagarmi le cure. Trovo questa cosa scandalosa, mi è stato riconosciuto il 67% di invalidità e un sacco di cure visto il mio reddito basso mi sono riconosciute gratuitamente o quasi, ma così non è per il Bedrocan, mentre la morfina e le benzodiazepine te le tirano letteralmente dietro».

Rosa mi racconta come durante i suoi numerosi ricoveri, dovuti alle crisi e alle conseguenti cadute, spesso le strutture ospedaliere le abbiano somministrato farmaci che le provocavano forti effetti collaterali, oppure come non si riuscisse a trovare una maniera adeguata per farle assumere la propria terapia: «Una volta sono caduta a seguito di una crisi fortissima come non mi succedeva più da anni e ho riportato delle fratture facciali; in ospedale sulla cartella clinica era correttamente riportato che dovevo assumere in Bedrocan tre volte al giorno, ma in tutto l’ospedale non c’era un vaporizzatore, né qualcuno poteva farmi infusi. Gli infermieri arrivavano quindi tre volte al giorno e mi portavano sul terrazzo perché potessi farmi una canna, una cosa che per me nel 2014 è assurda».

Infine Rosa mi spiega che ora non riesce più a permettersi il Bedrocan di importazione: «Allo stato attuale io non riesco più a pagare, non assumo nessun farmaco sostitutivo, e allo stesso tempo per questioni di spazio e lavoro non riesco a fare coltivazioni di canapa, quindi mi riferisco a chi la coltiva, coltivatori o malati che cercano di sopravvivere come me, magari partecipando alle spese di produzione. Non posso fare diversamente anche perché non voglio rivolgermi al mercato nero: ho bisogno di una sostanza pura, che sia trattata adeguatamente, adatta alla patologia e poi non voglio incentivare chi ne fa commercio quando ne avrei diritto gratuitamente. Se io chiedessi la morfina come terapia del dolore me la darebbero, mentre se chiedi il Bedrocan in molti ospedali, come al San Martino di Genova, nicchiano, di fatto inibendo un tuo diritto. Il mio appello è quello che si sblocchi questa situazione che non permette ai malati di curarsi liberamente scegliendo le terapie più opportune, pensa che siamo arrivati al punto che ci sono dei malati oncologici ai quali danno la morfina che non viene assunta ma scambiata con la cannabis sul mercato nero, per via o di una maggiore efficacia, o semplicemente dei minori effetti collaterali ai quali espone il consumatore».

Riccardo, il produttore sano che condivide con i malati senza scopo di lucro

Su internet ad esempio, dove il contatto è mediato da avatar virtuali, è possibile rendersi conto, attraverso comunità e forum dedicati, che le persone e le reti dedite questo tipo di attività sono diverse, anche limitatamente alla nostra città. Si sanno nascondere molto bene, ma sono parecchi

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Per ultimo abbiamo intervistato Riccardo; lui non è malato, ma è un consumatore di cannabis a “scopo ricreativo” che da lungo tempo autoproduce le sostanze che consuma: «Si comincia a coltivare, nel mio caso come in molti altri, da ragazzi, quando si fuma per le prime volte qualche spinello; si trattava di un passatempo, di una passione, che era mossa dalla curiosità e dalla necessità di evitare i costi esosi e la scarsa qualità della marijuana reperibile attraverso il mercato nero».

Negli anni Riccardo è venuto a conoscenza delle proprietà mediche della pianta, così come dei problemi che molti malati hanno nel reperire quella che per loro è una medicina spesso insostituibile: «Visto che coltivo per me stesso, ho cercato di entrare in contatto con persone che abbiano esigenza medica di questa sostanza per condividere i frutti del raccolto, senza alcun fine lucrativo o commerciale. Date le leggi di questo paese vigenti in materia, i contatti ed i rapporti legati a questo mondo sono tendenzialmente personali, confidenziali, e i metodi di approccio più frequenti sono l’incontro, il passaparola. Si tratta di una questione di consapevolezza e passione comune a molte persone, che cercano di coordinarsi organizzando assemblee su tutto il territorio nazionale per identificare buone pratiche da portare avanti per affrontare il problema».

«Questa attività è portata avanti sostanzialmente senza una struttura organizzativa che raduni produttori e malati, perché una simile modalità operativa non consentirebbe la necessaria discrezione, o l’altrettanto importante agilità delle comunicazioni. Ci si basa dunque principalmente sulla conoscenza diretta, anche se può succedere che all’interno di queste reti di rapporti qualcuno abbia la possibilità di mettere a disposizione uno spazio adatto alla coltivazione: allora è possibile che le risorse di più persone vengano messe in comune nel portare avanti un’unica attività. Quello che si verifica più spesso è però che un singolo preveda, o si trovi ad avere, un raccolto abbondante, e decida così di condividere il proprio prodotto con chi ne ha bisogno. Generalmente il coltivatore di cannabis ha piacere di condividere con gli altri il proprio prodotto, la consapevolezza di fornire un valido aiuto a persone afflitte dalla malattia non fa altro che aumentare il piacere della condivisione».

«Grazie al passaparola – spiega Riccardo in relazione alla realtà che conosce direttamente – si cerca di entrare in contatto con sempre più malati, perché penso che nonostante i rischi di cui sopra il mettersi in rete e l’essere numerosi siano delle soluzioni concrete al problema, o se non altro una delle vie da provare a percorrere. Su internet ad esempio, dove il contatto è mediato da avatar virtuali, è possibile rendersi conto, attraverso comunità e forum dedicati, che le persone e le reti dedite questo tipo di attività sono diverse, anche limitatamente alla nostra città. Si sanno nascondere molto bene, ma sono parecchi; negli anni purtroppo è facile conoscere malati che necessitano di cannabis per stare meglio, ed è così che generalmente si instaurano queste dinamiche».

Il know-how e il materiale per mettere in piedi una piccola o media autoproduzione sono paradossalmente a disposizione di chiunque abbia i mezzi economici per procurarseli, perché si tratta nella media di materiali piuttosto costosi come lampade e sostanze fertilizzanti: oltre che su internet, sono di facile reperibilità nei sempre più numerosi negozi dedicati, facili da trovare in qualunque grande città del paese. «È un mercato più che florido, che va di pari passo con un fenomeno di netto cambiamento a livello mondiale dei paradigmi culturali rispetto alla cannabis. Non dimentichiamo che in tanti altri stati nel mondo la coltivazione e l’autoproduzione di marijuana hanno conosciuto un vero e proprio boom, legato anche al cambio di rotta delle politiche statunitensi sulla droga leggera che hanno aperto a questi prodotti un mercato enorme».

Per concludere chiedo a Riccardo se secondo lui con la recente bocciatura da parte della Corte Costituzionale della legge cosiddetta “Fini-Giovanardi” si sono aperti secondo lui spiragli per l’autoproduzione, soprattutto in riferimento ai malati. La risposta di getto è negativa, ecco le argomentazioni: «Si è passati dai governi Berlusconi che hanno portato avanti per anni una politica ghettizzante e repressiva nei confronti del fenomeno, ai governi Monti e Letta che non si sono minimamente preoccupati di affrontare la questione, fino ad arrivare a Renzi, che prende provvedimenti slegati l’uno dall’altro, più utili a fare propaganda e a dipingersi come liberale piuttosto che a cambiare realmente qualcosa. Basti dire che il provvedimento che autorizza la produzione su suolo italiano di cannabis- presso lo stabilimento chimico farmaceutico militare (Scfm) di Firenze–non affronta in nessun modo la questione della distribuzione della sostanza, se non altro ai malati».

Le testimonianze di questi tre genovesi danno un quadro di quanto l’Italia, come in molti altri settori della scienza e della cultura in forte mutamento, sia molto indietro rispetto alle realtà dei paesi più avanzate. Il dibattito sulla cannabis medica, e sull’efficacia complessiva delle politiche proibizioniste rispetto alla canapa, langue da anni, anche vittima di anacronistiche posizioni dogmatiche e demonizzanti. Nonostante il momento storico sia difficile, e le priorità politiche del governo sembrino essere praticamente tutte legate all’economia, sicuramente c’è la necessità di procedere speditamente nell’approfondire il dibattito, mettendo di conseguenza in atto soluzioni concrete che tutelino la salute pubblica, in particolare per i malati. È una questione di giustizia e di libertà.

Autore: CARLO RAMOINO – Fonte: GENOVA.ERASUPERBA.IT del 24 Ottobre 2014

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