Si presentano per il colloquio e apprendono che il loro congiunto è morto il giorno prima.
La vicenda kafkiana è accaduta sabato scorso al carcere Pagliarelli di Palermo.
Come di consueto, i familiari di Antonino Cangemi, arrestato un anno fa con l’accusa di coltivazione di piantagione di cannabis, si sono recati sabato all’istituto penitenziario palermitano per il colloquio abituale e gli agenti penitenziari si sono ritrovati costretti a dargli la tragica notizia: il cinquantenne in realtà è deceduto il giorno prima.
A stroncarlo sarebbe stato un arresto cardiaco. Secondo la versione degli agenti penitenziari i compagni di cella avrebbero tentato di soccorrerlo, sono arrivate le guardie ma per lui non ci sarebbe stato nulla da fare.
Cangemi soffriva di salute, tanto che i familiari avevano più volte chiesto che venisse trasferito ai domiciliari. Richiesta rimasta inevasa. Secondo la direzione del carcere la notizia l’avrebbero dovuta dare i carabinieri.
Comunque sia, non è stata rispettata la prassi. L’ordinamento penitenziario parla chiaro: in caso di decesso, le autorità devono immediatamente informare il coniuge, il convivente o il parente più prossimo. Invece i familiari non sono stati avvertiti e hanno ricevuto la terribile “sorpresa” nel giorno del colloquio.
La procura ha messo sotto sequestro la cartella clinica dell’uomo ed è stata aperta un’inchiesta disponendone l’autopsia.
Non è la prima volta che gli istituti penitenziari danno in ritardo la notizia ai familiari del decesso o dell’aggravamento delle condizioni psico-fisiche del detenuto.
E’ possibile continuare ad arrestare persone per coltivazione personale di cannabis? Lo Stato è sicuro che queste misure repressive assurde siano necessarie ed utili ai fini della sicurezza del nostro Paese? O è solo un circolo vizioso nel quale tutti hanno la loro parte e non si espongono per cambiare le cose?
FONTE: Damiano Aliprandi da il dubbio
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