In questi giorni è uscito sul quotidiano americano New York Times, un articolo inerente la cannabis light ed il “fenomeno commerciale” (ricordiamolo, esclusivamente commerciale) che in Italia ha preso piede.
Se seguite le attività dell’Associazione FreeWeed saprete benissimo come sono andate realmente le cose in passato, con articoli disinformativi di pubblicità ingannevole che hanno alimentato fortemente il fenomeno commerciale, spacciandolo fittiziamente per una specie di pseudo rivoluzione sociale. Evidentemente questa parte è sfuggita agli abili giornalisti del New York Times, o più probabilmente non è stata volutamente narrata dagli intervistati.
Noi, purtroppo, ci ricordiamo tutto, ed invitiamo le persone ad aggiornarsi leggendo un buon riassunto del tema alla pagina:
MMM: OSTE COM’E’ IL VINO? LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE
Ma torniamo all’articolo sul New York Times.
Lungi da noi porci al loro livello di diffusione ed impatto sul pubblico, ma urge necessariamente effettuare almeno qualche chiarimento su quanto uscito sull’articolo, al fine di non creare confusione in chi vuole capire la tematica.
Riporteremo, pertanto, la traduzione dell’articolo apparso sul NYT, seguita dalle specifiche e da alcuni chiarimenti tecnici, sempre riferendosi a dati reali.
ROMA – Nell’ultimo anno piccoli vasi di fiori di cannabis sono volati via dagli scaffali dei negozi specializzati italiani: un fenomeno che viene descritto come una “corsa all’oro verde”.
Diremmo che l’inizio non è niente male, si sottolinea la situazione commerciale e la si descrive per quella che è: una corsa all’oro senza etica.
I fiori di canapa – con nomi come K8, Chill Haus, Cannabismile White Pablo e Marley CBD – sono venduti sotto il marchio “cannabis light” perché il loro livello del composto psicoattivo che rende le persone “fatte” è una piccola frazione di quella che si trova normalmente nella marijuana coltivata .
Interessante ingresso nel tema centrale: peccato che si manchi clamorosamente di sottolineare come questi nomi siano in realtà fittizi e nel 99% dei casi non derivanti da fiori coltivati in Italia e/o inventati per cambiare il nome ad una delle classiche 64 varietà autorizzate in U.E.
Ma c’è un problema. I fiori aromatici di canapa non devono essere fumati o mangiati. I semi, se ce ne sono, non devono essere coltivati. Come le etichette dei vasetti specificano severamente, i prodotti sono solo per “uso tecnico” e “non per consumo umano”. Invece, sono venduti – come spiegheranno innumerevoli commessi con un lieve spintore, un sorriso ammiccante – come “collezionisti” ‘ elementi.”
Questo è lo stato attuale e sconcertante della cannabis legale in Italia.
Siamo completamente d’accordo, anche se andrebbe sottolineato maggiormente il fattore di rischio che comporterebbero questi comportamenti, quali segnalazioni, sequestri, analisi delle urine, perquisizioni ecc. ecc. , per poi spesso finire in nulla (spesso ma non sempre) dopo le analisi dei principi attivi: chi non vorrebbe una bella perquisizione?
La mania della cannabis italiana, come è stata chiamata, esplose dopo l’entrata in vigore di una legge del dicembre 2016 che regolava la produzione di canapa, una serie di norme volte a contribuire a far rinascere un raccolto che un tempo era ampiamente coltivato nel paese. Negli anni ’40, l’Italia era il secondo produttore mondiale di cannabis industriale, dopo l’Unione Sovietica. (Le statistiche per la Cina, anche un importante produttore, non esistono.)
La legge è stata creata per gli agricoltori che coltivano la canapa industriale, che ha usi commerciali come cibo, tessuti, abbigliamento, biocarburanti, materiali da costruzione e alimenti per animali, ma ha livelli minimi di composti psicoattivi. Ma non ha regolato l’uso dei fiori di cannabis, noti anche come gemme, e un’intera economia è emersa dal vuoto legislativo.
Analisi corretta, certamente, anche se ci aspettavamo si sottolineasse la vicenda della vicina Svizzera (vero precursore del mercato light mainstream) ed il fatto che la legge, aumentando il limite a 0,6% sul campo (e di fatto anche nei prodotti, anche se è ancora in fase di valutazione giuridica), ha avvicinato molti coltivatori alla pianta (che avevano iniziato a coltivare molto tempo prima del Boom del mercato light)
Nell’ultimo anno aziende che confezionano cannabis light sono sbocciate, decine di negozi che vendono prodotti di cannabis sono stati aperti, marchi in franchising sono decollati e molti agricoltori hanno ruotato i campi per produrre una delle 64 varietà di canapa industriale certificate dall’Unione Europea.
Le associazioni di agricoltori vedono la produzione di canapa su larga scala come una soluzione alla crisi agricola italiana.
Tutto molto bello, se fosse cosi. Peccato che il 65% dei rivenditori e dei negozi citati proponga in realtà genetiche coltivate all’estero. Certamente una minima ripresa agricola su larga scala c’è stata, anche se relegata alla vendita del fiore, e quindi di fatto non sviluppando a fondo la reale filiera industriale italiana, anche se fortunatamente ci sono casi di aziende che stanno lavorando alla grande, purtroppo ignorate dal NYT (ad esempio la filiera di HEMP FARM, realtà locali come BIOCANNABIS o ARA MONTIS).
“Abbiamo creato un fenomeno eccezionale”, ha affermato Luca Marola, a cui è ampiamente attribuito il merito di aver dato il via al boom della cannabis-light, grazie in parte alla vasta copertura mediatica della sua società, Easyjoint Project . A febbraio, ha detto, aveva venduto 17.000 chilogrammi di fiori – un progetto che Marola, un attivista di lunga data per la legalizzazione della marijuana, definisce una “forma di disobbedienza civile”.
“a cui è ampiamente attribuito il merito”: ma da chi? Questa toppa clamorosa dal NYT non ce la aspettavamo. Un autoproclamato inventore che si autopubblicizza come il precursore di qualcosa che già esisteva prima e che lui ha soltanto alimentato con sponsorizzazioni a riviste e pubblicità ingannevoli di livello (invitiamo sempre all’approfondimento su: MMM: OSTE COM’E’ IL VINO? LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE ), cos’altro potrebbe dire? La parte più divertente non è sicuramente quella in cui si definisce attivista di lunga data, dove potremmo anche credergli sorridendo, ma quando definisce questo mercato commerciale una “forma di disobbedienza civile”, sputando sopra anni di lotte sociali e trasmutandole in un mero strumento per fare danari personali. Secondo Luca Marola chi fa mercato, fa disobbedienza civile: questo non solo dimostra che il personaggio in questione non conosce le regole sociali e civili, ma che nemmeno porta un minimo rispetto per chi realmente lotta e si espone sulla tematica rischiando realmente arresto e carcere al fine di cambiare le leggi e non solo di avviare una società commerciale.
Nel secolo scorso, la marijuana e la cannabis sono stati associati alla parola droga, eliminando efficacemente generazioni di tradizione, ha dichiarato Gennaro Maulucci, il principale organizzatore di una fiera a base di canapa a Roma. “Vogliamo smantellare quella reputazione diffamatoria”, ha detto.
“È una nuova economia, sembra la Silicon Valley”, ha aggiunto durante la fiera, Canapa Mundi , che ha richiamato più di 30.000 visitatori nell’arco di tre giorni a febbraio. E in questo processo, ha detto, “anche la cannabis light può contribuire alla normalizzazione della cannabis”.
Ci uniamo alle dichiarazioni degli organizzatori di Canapa Mundi, sorridendo: sembrava davvero di essere in piena corsa all’oro. Sicuramente siamo convinti che la diffusione possa contribuire a normalizzare la cannabis, ma non certo nel modo in cui sta avvenendo, dove si rischia , per tutelare un mercato, di screditare il THC ed i suoi usi applicativi. Insomma siamo un filino meno speranzosi, sempre che non cambi l’atteggiamento sociale e aziendale di approccio al tema.
Il livello di tetraidrocannabinolo – o THC, il composto che rende le persone “fatte” – è inferiore allo 0,2 percento nella cannabis light, una piccola percentuale rispetto al 15 percento al 25 percento o più che si trova tipicamente nei ceppi di marijuana coltivati, la cui qualità a livello illecito di strada può essere significativamente più bassa in Italia. Ha diversi livelli di cannabidiolo, o CBD, che i proponenti dicono abbia proprietà analgesiche e anti-infiammatorie, senza gli effetti psicoattivi.
Importante sottolineare come il NYT si discosti dalle varie pubblicità-propaganda fatte in Italia sulle qualità terapeutiche del CBD e della cannabis ad uso industriale limitata nel THC, la sua molecola fondamentale. Assurdo notare invece che non si parli nel dettaglio dei limiti, che sono stati elevati per tolleranza allo 0,6% per l’agricoltore e di riflesso per il prodotto, anche se è in fase di giudizio: quel che è certo è che la giurisprudenza considera, fino ad oggi, non rilevante un valore fino allo 0,5% di THC. Sarebbe stato importante un approfondimento legale su questa tematica delicata.
Alcuni aficionados che lavorano per riviste che promuovono marijuana hanno descritto gli effetti della cannabis leggera come una sorta di ronzio, senza in realtà essere sballati.
NDR: De gustibus non disputandum est
Il sito Web di Easyjoint specifica che i suoi prodotti non devono essere bruciati o mangiati e che non sono medicinali. Ma in un’intervista, il signor Marola ha detto che la cannabis light ha proprietà che potrebbero essere efficaci in vari casi.
Che altro dire? Si sottolinea l’incredibile ed impunita sfrontatezza nel sostenere tutto ed il contrario di tutto senza vergogna alcuna.
NDR: è differente dal dire: “sono semi da collezione, non piantarli perchè ti arrestano”. Qua si gioca sulla salute personale e sulla sanità pubblica.
“Fortunatamente, più persone soffrono di insonnia e attacchi di panico” rispetto alla malattia di Lou Gehrig, per la quale viene spesso prescritta la marijuana medica, ha detto, aggiungendo che la marijuana medica dovrebbe essere riservata “a chi ha davvero bisogno di un prodotto con alto contenuto di THC”.
Dunque il signor Luca Marola si augura sostanzialmente un monopolio farmaceutico, come l’attuale, che riservi la cannabis con THC solo a chi ne necessitasse per fini medici, lasciando agli “altri” solo la cannabis senza principio attivo? Gran bell’attivismo, se ci permettete.
La comunità scientifica è ancora in dibattito circa le proprietà mediche della cannabis light. La marijuana medica, d’altra parte, è diventata sempre più popolare in Italia da quando è stata approvata nel 2006, e ora la domanda è nettamente superiore.
Sottoscriviamo.
Migliaia di italiani usano la cannabis medica per attenuare i sintomi di problemi come nausea post-chemioterapia, spasmi muscolari causati da sclerosi multipla, epilessia, anoressia e ansia, anche se molti medici esitano a proporre il trattamento per timore di potenziali responsabilità legali.
Il consumo annuale di cannabis medica legale è cresciuto da 40 chilogrammi nel 2013 a quasi 10 volte quello del 2017, “e non abbiamo ancora raggiunto un plateau”, ha detto il colonnello Antonio Medica, l’ufficiale responsabile dello stabilimento farmaceutico militare militare di Firenze . Quella centrale militare è l’unica agenzia italiana a produrre cannabis medica e il suo primo raccolto è stato distribuito nel 2017.
Ma dal momento che non può tenere il passo con la domanda, il governo importa anche dall’Olanda e, a partire da gennaio, dal Canada.
Il colonnello Medica ha detto che pensava che la domanda potesse quadruplicare ulteriormente. “I medici hanno iniziato a vedere l’importanza della cannabis medica”, ha detto.
A settembre, le farmacie di tutta Italia hanno finito la marijuana medica, spingendo molti pazienti con prescrizioni a rivolgersi al mercato nero.
“Lo stato non rispetta le proprie leggi”, ha detto Carlo Monaco, proprietario del Canapa Caffè di Roma , l’unico locale italiano per i pazienti trattati con marijuana medica. “Le persone che pagano le conseguenze sono persone disabili, persone con problemi, che difficilmente reagiranno perché si trovano in condizioni difficili”, ha detto.
Mentre chiunque può bere tè alla canapa o mangiare cibo a base di canapa (quando è disponibile) al bar – il cui status legale non è chiaro – i pazienti con una prescrizione possono consumare la propria cannabis in una comoda sala di terapia.
Il caffè è stato creato in modo che le persone non dovessero medicarsi da soli a casa. “Il problema è che la mentalità è chiusa in Italia, e se parli di cannabis come cura, sei visto come un drogato”, ha detto Luigi Mantuano, l’altro proprietario del caffè, che vende la sua versione di cannabis leggera . “Non volevamo che le persone si chiudessero.”
Interessante discussione superficiale sulla cannabis ad uso medico in Italia. I problemi sono molteplici, a partire sicuramente dalle metodologie di coltivazione, riservata in monopolio all’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze, fino ad arrivare alla distribuzione ed alla prescrivibilità (passando per la rimborsabilità, spesso specchietto per le allodole per tenere buoni alcuni pazienti riottosi). La parte interessante è che non si parla mai di coltivazione personale, fattore che invece, lo sappiamo tutti, risulta determinante ed andrebbe a sbloccare una situazione intricata che è sempre più in mano solamente alle multinazionali che investono nel settore, tagliando fuori i cittadini ed i pazienti che ormai sono considerati esclusivamente clienti e numeri per i fatturati annui di aziende estere nel 75% dei casi, come ben sottolineato.
Sebbene la cannabis medica e la cannabis leggera siano legali, diversi consumatori di cannabis hanno condiviso storie di detenzione quando sono stati trovati con i fiori.
“Se vieni fermato dalla polizia dopo aver comprato cannabis medica, devi essere abbastanza fortunato che gli agenti hanno letto la legge e non la confondono come una droga – altrimenti è probabile che passerai la notte in prigione, “Ha detto Andreana Sirhan, una farmacista di Roma che vende marijuana medica.
Aggiungiamo, nella confusione creata dal mescolare tematiche parallele ma differenti come la cannabis ad uso medico e la cannabis cosiddetta “light”, che per quanto riguarda l’uso medico non vi è certezza nel possesso ma che una ricetta al 99% dei casi può tutelare, ma se il prodotto viene trovato sfuso o la confezione alterata può scattare il sequestro, l’analisi e soprattutto la verifica da parte delle FF.OO. sulla detenibilità del prodotto da parte del possessore, e nel caso in cui non si riesca a verificare, l’accusa è detenzione di stupefacenti (comunque alla guida le urine risulteranno sempre positive al THC e quindi a rischio sequestro patente e mezzo). Mentre per il caso della cannabis light tutto avviene in modo simile, solo che, in caso di sequestro per confezione alterata, conseguente verbale , perquisizione e denuncia, il prodotto risulterà negativo alle analisi del limite di THC permesso, e quindi autorizzato, e quindi al 99,9% finirà in nulla (per la patente esiste purtroppo la possibilità che l’uso di cannabis light porti a dei positivi negli esami delle urine).
La popolarità della cannabis light ha dato nuova energia alle campagne di legalizzazione della marijuana che stanno bollendo lentamente dagli anni ’70. Un gruppo di parlamentari di diversi partiti politici ha proposto una proposta di legge durante la sessione legislativa che si è conclusa il mese scorso, sebbene non si sia fatta strada attraverso il Parlamento.
Ci viene da sorridere. In questo paragrafo si parla dell’ “Intergruppo cannabis legale”, o meglio della fuffa dell’intergruppo, diremmo noi.
Per un approfondimento sulla tematica, su quanto siano state strambe le votazioni di questo fantomatico intergruppo, su come sia andata a finire (in un grandissimo nulla) e sulle motivazioni che hanno portato parallelamente il Parlamento a certificare il FARMACOLIGOPOLIO, invitiamo a visitare i seguenti articoli:
Gli “incredibili” dati dietro le Votazioni Parlamentari contro l’Autoproduzione Personale
Decreto Fiscale 2018: introdotto il farmacoligopolio silenziosamente, con l’esca della rimborsabilità
La Camera dei Deputati approva il Farmacoligopolio (quasi all’unanimità)
DDL “Cannabis Legale”: la fine di un teatro, l’inizio della “Medicalizzazione della Cannabis”
La Fine del DDL “Farsa Legale”: La Legalizzazione della Cannabis viene Bocciata dalle Commissioni
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DDL “Cannabis Legale”: la storia, il percorso, le contraddizioni ed il suo probabile tramonto
Come funziona il Farmacoligopolio sulla Cannabis in Italia?
Non vi è alcuna garanzia che il nebuloso status legale della cannabis light sopravvivrà all’appetito legislativo dei legislatori in arrivo. Le due parti che probabilmente governeranno l’Italia per i prossimi cinque anni, forse insieme, hanno opinioni divergenti sull’uso della marijuana: il Movimento a cinque stelle è aperto alla legalizzazione, il partito della Lega di estrema destra è contrario.
Rimaniamo in attesa della formazione del nuovo governo, o delle probabili nuove elezioni. Aggiornamenti quotidiani nella sezione “Notizie Dal Parlamento“
Un portavoce dell’associazione che rappresenta i distributori di tabacco autorizzati ha notato che era in corso una decisione ministeriale sulla possibilità che la cannabis light venisse riconosciuta come sostitutiva del tabacco e soggetta a tasse. Ciò significherebbe che la cannabis light potrebbe essere venduta solo attraverso distributori di tabacco autorizzati.
Ecco, ci mancherebbe pure il monopolio sulla cannabis “light”. Allora si che avremmo iniziato a scavare sul fondo.
A dicembre, Paolo Molinari ha trasformato il suo bar del centro di Roma in un aspirante coffee shop olandese (anche se era vietato fumare) e ha iniziato a commercializzare il suo marchio di cannabis light: Erba di Roma, che secondo lui era popolare tra i turisti.
Ha detto di essere preoccupato che la bolla di cannabis italiana potrebbe esplodere, ma è stato rincuorato dal numero crescente di stati che hanno legalizzato la marijuana negli Stati Uniti.
“La legalizzazione ha creato posti di lavoro, ridotto la criminalità e il contrabbando di marijuana di bassa qualità, ed è un grande incentivo fiscale per i governi”, ha detto Molinari. “Perché rimuovere una sostanza che crea reddito per lo stato?”
Inoltre, ha aggiunto, “la gente lo userà comunque”.
E noi aggiungiamo: peccato che qui si parli di cannabis senza il principio attivo principale che la caratterizza come sostanza utile sotto molti aspetti per l’essere umano, e che soprattutto l’Italia sia ancora ben lontana da una effettiva regolamentazione. Ci uniamo alle preoccupazioni che “il palloncino” si possa sgonfiare, ma certamente non esploderà (perchè, di fatto, non siamo contrari all’evoluzione, nè al mercato della cannabis “light”, solo vorremmo un po’ più di serietà ed etica nel fare le cose, e soprattutto maggiore partecipazione sociale tesa ad un cambiamento reale del nostro paese).
Rinnoviamo le nostre proposte ai lettori e sostenitori riguardo i NECESSARI PASSI AVANTI SULLE NORMATIVE che incredibilmente non sono stati affrontati in questo approfondimento:
Le Proposte dell’Associazione FreeWeed per le modifiche alle normative 242/2016 e D.P.R. 309/90
Ripetiamo: lungi da noi porci al livello di diffusione ed impatto sul pubblico del New York Times, ma urge necessariamente effettuare almeno qualche chiarimento su quanto uscito sull’articolo, al fine di non creare confusione in chi vuole capire la tematica.
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